Quello sguardo sul Maghreb che divide Berlino e Parigi

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Così come molti altri non hanno capito che la democrazia e la razionale saggezza abitano nella Germania della signora Merkel, che si tiene fuori dalla guerra. Molti sospettano che i francesi siano in balia di un presidente guerrafondaio che vuole mettere le mani sul petrolio libico e si pulisce la coscienza lasciandosi consigliare dal «dandy umanitario» Bernard-Henri Lévy. Altri pensano che i tedeschi, egoisti e schiacciati dal senso di colpa della storia, si contentino di dettare regole dell’euro e vendere Mercedes. Ma ci sono aspetti meno caricaturali delle posizioni divergenti di Parigi e Berlino. Per quanto riguarda la Francia, sarebbe ingenuo credere che dietro le ragioni umanitarie non ci siano anche interessi economici. Ma questo non sminuisce il proposito di fermare i massacri e smuovere la comunità  internazionale. Che cosa avremmo scritto dell’Occidente e della nostra morale dopo una nuova Srebrenica? E su quale futuro avremmo potuto costruire strategie nazionali ed europee se la primavera araba fosse stata sepolta a Bengasi? La Francia ha deciso di scommettere sulla sponda del Mediterraneo e sul futuro di un continente in cui si sono aperte molte partite: rapido ingresso nella globalizzazione, urbanesimo e crescita culturale delle nuove generazioni, concorrenza della Cina sui mercati delle materie prime, affermarsi di classi borghesi che vogliono essere padrone del proprio destino e non più in balia di dittature corrotte e sanguinarie (peraltro così sovente coccolate proprio a Parigi). Come ha avvertito Kofi Annan, nei prossimi 18 mesi si terranno 19 elezioni presidenziali in Africa. Dal Sudan alla Costa d’Avorio, dalla Nigeria al Ciad, sono in atto processi complicati: alcuni condizionati dalla rete di interessi, investimenti e ricatti di Gheddafi, molti altri in bilico fra passato e futuro. Possiamo sperare che anche in Africa le nuove generazioni raccolgano, con la velocità  incomprimibile di Facebook, le stesse sfide del mondo arabo? Può essere sottovalutato il ruolo di Paesi arabi e africani nella partita libica? E magari nel conflitto fra palestinesi e israeliani? Sarebbe utile ricordare che anche dal crollo del Muro nacquero situazioni incerte, diverse, non tutte positive: la Polonia e l’Ungheria democratiche, il bagno di sangue in Romania, i Baltici europei, la Bielorussia ancora sotto dittatura, la pacifica separazione della Cecoslovacchia, i massacri nella ex Jugoslavia, la Russia oligarchica. Gli sbocchi potrebbero essere parimenti incerti e diversi nel mondo arabo e africano, ma all’interno di un processo che appare irreversibile. Forse questo intendeva lo studioso Francis Fukuyama quando parlò di fine della storia dopo la caduta del Muro. La primavera araba potrebbe ampliare il processo di globalizzazione di diritti e democrazia apertosi con il crollo del comunismo e limitato in gran parte del mondo alla globalizzazione dei mercati. Queste prospettive, per quanto visionarie, attraversano da tempo cancellerie e grande politica. Questo era il senso del famoso discorso di Obama al Cairo, a favore di «governi che riflettano la volontà  dei cittadini» . Sono prospettive riducibili a rissa politica? Ha senso ritenere che l’uomo africano o l’uomo arabo siano geneticamente diversi dall’uomo comunista? O che il fanatismo religioso sia più impenetrabile e resistente di quello ideologico? Rispetto al crollo del mondo comunista, la Germania ebbe una velocità  di reazione analoga a quella francese rispetto al Mediterraneo. C’erano motivazioni ideali e interessi nazionali, che avrebbero aperto al Paese le strade della riunificazione e dei nuovi mercati dell’Est. La Germania fece la corsa di testa, sfidò chi diceva di preferire che le Germanie restassero due, seppe rischiare, si caricò sulle spalle costi enormi, accettò ondate di profughi ed emigranti, ebbe un ruolo non secondario, a volte ambiguo e cinico, nella guerra dei Balcani. È dunque un fatto e non una caricatura che Berlino guardi al Maghreb con occhi diversi dalla Francia. Se le posizioni francese e tedesca meritano considerazione, diventa più comprensibile, al fuori delle polemiche, anche lo strabismo di un’Italia che vorrebbe assumere nel Mediterraneo un ruolo conseguente alla propria storia e geografia e, d’altra parte, sente storici legami con la Mitteleuropa e considera il sud del mondo più un pericolo che un’opportunità . Anche per questo scegliere è stato più difficile. Mentre sarebbe un errore un ripensamento sull’impegno militare, è una mossa azzeccata, anche nell’interesse dell’Europa, il tenere la Germania dentro la partita. Nei teatri recenti di guerra, giusta o sbagliata, l’Italia ha dimostrato di non essere seconda a nessuno. Non abbiamo mai avuto voglia di sparare per primi, ma siamo abilissimi quando si tratta di dialogare, pacificare, ricostruire. Con il sorriso che non hanno i francesi e le intuizioni che non hanno i tedeschi.


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