Unicredit, utili in calo e cedola invariata Ghizzoni: “Potremmo tenere Pioneer”

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MILANO – Unicredit archivia un 2010 ancora difficile, con profitti in calo del 22% a 1,32 miliardi di euro, ma sopra le attese e di qualità  crescente. Il dividendo si conferma a 3 centesimi, come l’anno scorso. La Borsa compra il titolo con un +2,16% a 1,79 euro, in una seduta debole per le rivali. I risultati beneficiano del trimestre chiuso a dicembre (321 milioni) che ha saputo cogliere l’aumento prospettico dei tassi e migliorato del 2,5% gli interessi netti e dell’8,5% le commissioni. Il trend fa dire all’ad Federico Ghizzoni: «I primi due mesi sono incoraggianti, guardiamo con più ottimismo al 2011. Il focus sarà  sull’Italia, dove vedo un forte potenziale, in particolare su Pmi e mercati». Sul congelamento del 7,5% in mani libiche ha aggiunto: «Nessun impatto, non vedo problemi fino a che sarà  trovata una soluzione». Più di un analista ha notato la divergenza con Intesa Sanpaolo, male accolta dalla Borsa perché tra ottobre e dicembre è calata nel margine di interesse, salvandosi con le coperture in derivati e il perdurante exploit dell’investment bank. Anche Piazza Cordusio ha migliorato la parte Cib (imprese e mercati), che l’anno scorso ha dato utili lordi per 2,71 miliardi (2,08 nel 2009). Positive conferme dal Centro Est Europa, che apporta 1,06 miliardi (da 911 milioni). In netto calo però l’apporto della divisione retail, dimezzato a 619 milioni. È partendo dal retail, ristrutturato in Italia col piano One4C, che va rilanciata una redditività  scesa al 2,7% di Roe: «Proseguiremo la svolta in Italia, la sfida è migliorare una redditività  insoddisfacente». Il patrimonio core tier 1 a dicembre è stabile all’8,58%, e il gruppo stima che calerà  di 131 punti base con l’adozione di Basilea 3. «La base di capitale è abbastanza buona da sostenere lo sviluppo del business, gli stress test in arrivo sono benvenuti, non sentiamo nessuna pressione. Se ci saranno nuovi eventi li affronteremo». Frase che dà  argomenti agli osservatori che non escludono un futuro aumento, per cogliere appieno la ripresa mitteleuropea, o per non dover ridurre le cedole. Un ruolo di peso, sul patrimonio, l’avrà  il dossier Pioneer, pedina del risparmio gestito da mesi “in vetrina” ma che potrebbe esserne tolta. «Non vogliamo restare troppo nell’incertezza, ci prendiamo ancora due-tre settimane per decidere – ha detto l’ad –. Venderemo se le attuali proposte corrispondono alle ambizioni, altrimenti la terremo per ristrutturarla e svilupparla». I pretendenti iniziali, due francesi e un inglese, appaiono fuori gioco dopo la crociata protezionista del Tesoro. Resta l’opzione Eurizon (Intesa Sanpaolo), che però piace poco a Unicredit perché Ca’ de Sass vorrebbe fondere solo le masse gestite in Italia, e governare. Di qui l’idea – discussa in cda martedì – di uno stop per ridisegnare il business model Pioneer e aspettare tempi migliori, magari per quotarla.


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