Yemen, dopo la strage

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Le dimissioni di massa di ambasciatori, seguite dalle defezioni di generali-chiave dell’esercito e da influenti leader tribali fino all’altro ieri alleati del presidente, rendono lo scenario yemenita dell’immediato futuro simile, per alcuni aspetti, a quello libico. Parlando di fronte al Supremo consiglio delle forze armate, Saleh ha ieri offerto l’ennesima concessione: «Sono pronto a lasciare il potere all’inizio del 2012» subito dopo le previste elezioni legislative. All’inizio delle proteste, alla fine di gennaio, il presidente, 69 anni, aveva promesso che avrebbe lasciato la poltrona entro il 2013.
Il raìs retrocede, timidamente, ma retrocede. E tutti fiutano l’inizio della fine del regime: a partire dai giovani studenti che hanno avviato il sit-in nel centro di Sanaa, passando per le opposizioni che tardivamente si sono unite al raduno, fino agli shaykh tribali agli ambasciatori e ai generali dell’esercito. «Il regime è ora sostenuto solo dai membri della famiglia (del presidente)», sostiene Franck Mermier del Cnrs di Parigi, già  direttore del centro francese di studi a Sanaa ed esperto di questioni yemenite.

Sin dalla sua elezione a capo dello Yemen del Nord nel 1978 e poi ai vertici del paese unificato nel 1990, Saleh ha lavorato per integrare nel neonato stato le strutture sociali tradizionali, concedendo ai capi tribali e ai leader religiosi un’influenza senza precedenti nei gangli del sistema di sicurezza e in quello di governo. Così facendo, il presidente è riuscito a creare attorno a sé un regime stabile e, soprattutto, a lui fedele, assicurando ingenti sussidi ai clan alleati.

Ma il sistema si è rotto. E la rottura è stata evidente quando lunedì il generale Ali Moshen, responsabile del settore nord-occidentale del paese e della stessa capitale, ha annunciato la sua defezione. Mohsen è membro dell’influente tribù degli al-Ahmar, la stessa a cui appartengono il raìs, numerosi altri generali e rappresentanti delle agenzie governative. Dopo Mohsen, una serie di alti ufficiali delle forze armate lo hanno seguito in piazza a Sanaa, immortalati accanto alle tende dei manifestanti.

La causa immediata di questo fuggi fuggi dalla nave che sta colando a picco è stato lo shock seguito alla strage di oltre cinquanta giovani dimostranti, uccisi venerdì scorso con colpi di arma da fuoco sparati da non meglio precisati cecchini appostati sui palazzi circostanti la piazza del raduno.

Le defezioni eccellenti sarebbero però causate non solo dallo sdegno per il massacro di Sanaa, compiuto con molta probabilità  da forze lealiste, ma anche da calcoli di potere a più lungo termine.

Dal sud-est del paese, a Mukalla, sono arrivate ieri notizie dei primi morti in scontri tra uomini della guardia repubblicana, saldamente in mano ad Ahmad Saleh, uno dei figli del raìs, e i militari dell’esercito regolare.

A Sanaa, dei blindati fedeli al generale Mohsen sono stati schierati “a difesa” della Banca centrale, della sede del Congresso popolare generale – il partito unico – e altre sedi istituzionali considerate strategiche. I carriarmati della guardia presidenziale e quelli delle forze speciali, comandate da Tariq Saleh, nipote del presidente, si sono dispiegati tutti attorno al palazzo presidenziale.

Guerra civile in Yemen? Dal 2004, i ribelli zaiditi (branca dello sciismo a cui appartiene lo stesso Saleh e che costituiscono il trenta per cento della popolazione) hanno imbracciato le armi contro Sanaa per rivendicare maggiore autonomia, ma sono stati sempre repressi con la forza sia dalle forze governative che da quelle saudite, al di là  del confine nord. Nelle regioni meridionali, il movimento secessionista che chiede il ritorno a uno Yemen del Sud con Aden capitale non ha mai abbassato la guardia, ricorrendo spesso ad azioni armate contro esponenti del potere centrale.

E poi c’è al Qaeda, le cui cellule sarebbero attive un po’ ovunque nel paese, dallo sperduto Hadramawt (luogo di origine della famiglia di Bin Laden) fino al porto di Hudayda, importante terminale petrolifero sul Mar Rosso, passando per la regione di Maarib, ricca di giacimenti. E mentre ieri gli Stati Uniti si sono detti “preoccupati” per l’instabilità  in Yemen e le sue “ripercussioni sulla lotta al terrorismo”, la tv di stato annunciava – guarda caso – l’uccisione di due membri di al-Qaeda e di cinque soldati governativi nella provincia meridionale di Abyan. (da Europa)


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