Costa d’Avorio, Gbagbo tratta la resa

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parigi – Laurent Gbagbo vive le sue ultime ore come presidente della Costa d’Avorio. Chiuso in un bunker nel palazzo presidenziale di Abidjan insieme alla famiglia e agli ultimi fedelissimi, ha inviato gli ufficiali rimasti al suo fianco a negoziare la resa. «E’ questione di ore», ha detto ieri il ministro degli Esteri francese, Alain Juppé. «Nel pomeriggio, ad Abidjan, non si sentivano più esplosioni, ma la popolazione continua a non muoversi», dice Mego Terzian, responsabile per le emergenze di Médecins sans Frontières. La mattinata, invece, è stata ancora violenta: «Le nostre équipe in un ospedale a nord di Abidjan hanno ricevuto una ventina di feriti da colpi di arma da fuoco», dice ancora Terzian poco dopo aver parlato con i suoi. Un’altra squadra basata nella parte meridionale di Abidjan «è bloccata da sei giorni, non riescono ad uscire e non possono inviare aiuti all’ospedale, uno dei pochi ancora funzionanti nella zona. A volte i feriti vengono portati su carriole, perché le ambulanze non possono circolare». Se un po’ di calma sembra tornata ad Abidjan, c’è invece molto movimento sul fronte diplomatico. I francesi, dopo essere intervenuti militarmente lunedì, hanno preso in mano la situazione. Juppé è stato esplicito: «Noi, come il segretario generale dell’Onu, esigiamo che la partenza di Gbagbo sia preceduta dalla pubblicazione di un documento da lui firmato, in cui rinuncia al potere e riconosce Alassane Ouattara come presidente». Ipotesi respinta da Gbagbo in una intervista ad una tv francese. Ieri sera, Al Arabiya ha annunciato la sua resa, ma l’Eliseo e l’Onu hanno smentito: «Le trattative continuano». Le dichiarazioni di Juppé dimostrano quel che era chiaro fin da lunedì: la Francia ha rotto gli indugi e deciso di deporre Gbagbo, che da più di quattro mesi rifiutava di riconoscere la sua sconfitta alle presidenziali del 28 novembre scorso. Di fronte al rischio di una catastrofe umanitaria, Parigi non ha esitato a intervenire, sia pur su richiesta formale del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon. E i bombardamenti sui settori ancora controllati dai fedeli di Gbagbo hanno sortito l’esito sperato, con la richiesta di un cessate il fuoco avanzata ai rappresentanti dell’Onu dagli ultimi generali fedeli all’ex presidente. Juppé ha tuttavia precisato che la Francia vuole abbandonare rapidamente il teatro di guerra: «Non abbiamo vocazione a metter radici in Costa d’Avorio. Prima finisce la nostra missione, meglio è». Parigi vuol lasciare ai caschi blu il controllo del cessate il fuoco, ma è ancora presto per parlare di un ritiro dei 1.650 soldati transalpini. Parlando al telefono con Ouattara, Sarkozy ha invitato il nuovo presidente a prendere rapidamente un’iniziativa in favore di una riconciliazione e del perdono e per la costituzione di un governo di unità  nazionale. La fine dei combattimenti è indispensabile per evitare una catastrofe umanitaria ad Abidjan. Secondo la portavoce per gli Affari umanitari dell’Onu, Elisabeth Byr, «ci sono esplosioni continue in tutta la città . La maggioranza degli ospedali non sta più lavorando e manca di ossigeno. I servizi pubblici non funzionano più per cui ci sono decine di cadaveri nelle strade che nessuno raccoglie. Non si possono trasportare i feriti, perché le ambulanze non funzionano: quando escono sparano contro di loro». La situazione resta precaria un po’ in tutto il paese: se nell’ovest gli scontri armati sembrano finiti, dice Terzian, nel nord le équipe di Médecins sans Frontières continuano a ricevere feriti.


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