Costa d’Avorio, verso lo scontro finale

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Il vescovo di Abidjan, le forze speciali francesi della Brigade Licorne e il presidente uscente Laurent Gbagbo. Dicono cose diverse ma fanno tutti la stessa cosa: si preparano per la tempesta che tra poche ore colpirà  Abidjan, la capitale commerciale della Costa d’Avorio, teatro della resa dei conti tra il golpista Gbagbo, il legittimo presidente Alassane Ouattara e i rispettivi gruppi armati. Cominciamo dalla più alta autorità  cattolica ivoriana, monsignor Jean-Pierre Kutwa, che oggi ha affidato all’agenzia vaticana Fides una testimonianza più eloquente di ogni reportage: “La situazione è calma, nel senso che le sparatorie sono ridotte, ma è una calma inquietante, per niente rassicurante. La tensione è fortissima. La popolazione è barricata in casa. In alcuni quartieri manca l’acqua e l’elettricità , non si trovano i viveri. Siamo in attesa della battaglia finale. È una tragedia indescrivibile“. Dalle sue finestre, monsignor Kutwa può vedere a cosa ricorre un regime disperato e senza scrupoli. Secondo quanto appreso da Peacereporter, in prossimità  della cattedrale i luogotenenti di Gbagbo stanno schierando civili come scudi umani per fermare l’avanzata delle forze d’attacco di cui dispone Ouattara. Le Forces Républicaines de Cote d’Ivoire (Frci) lunedì 28 marzo hanno lanciato un‘offensiva micidiale, che in quattro giorni li ha portati a prendere l’80 per cento del Paese. Giovedì erano arrivati alle porte di Abidjan, il giorno dopo vi erano penetrati e avevano iniziato l’assedio del palazzo presidenziale. Poi, inspiegabile, una ritirata tattica nelle zone settentrionali della metropoli, in quei quartieri di Abobo e Anyama che nell’ultimo mese erano diventati i bastioni del fronte anti-Gbagbo. Da lì starebbero per dare inizio all’affondo finale. Questioni di ore, dicono a Peacereporter fonti vicine al presidente Ouattara.

A Gbagbo non resta che il controllo dell’area che comprende il palazzo presidenziale, la sua abitazione privata e la caserma della Gendarmeria d’Abgan, tra i quartieri di Plateau e Cocody. Per arrivare davanti alla sede della presidenza, però, le Frci dovranno passare di fronte alla cattedrale. Ed è lì che si stanno schierando i “martiri” che rischiano di restare schiacciate nella guerra che si scatenerà  tra i due gruppi. I due eserciti e tutto il coté di milizie e bande armate si sono già  incontrare a Duékué martedì scorso ed è stata una carneficina: 800 morti secondo la Croce Rossa, 330 secondo Human Rights Watch; Ouattara che fino ad ora era riuscito a tenersi le mani relativamente pulite, è stato subito impallinato da Washington e dal Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, che gli hanno chiesto di tenere sotto controllo i suoi uomini. Ouattara e i suoi generali hanno promesso un’indagine interna e avviato una verifica sul campo, in seguito alla quale sono stati contati 152 cadaveri. Pare che molte delle vittime siano cadute sotto i colpi di macete dei Dozos, un gruppo di cacciatori schieratosi al fianco del presidente. Ad Abidjan potrebbe scoppiare l’inferno. Per questo i francesi, che già  avevano 900 teste di cuoio della Brigata Licorno negli ultimi due giorni hanno inviato altri 400 soldati di rinforzo. Venerdì hanno preso possesso dell’aeroporto Houphouet-Boigny di Abidjan, preparandosi ad una operazione per evacuare i circa 12 mila stranieri nella loro ex colonia, 1600 dei quali hanno trovato rifugio in un campo d’accoglienza allestito all’interno della caserma francese. Contro di loro, Gbagbo ha in campo la Guardia Repubblicana, i Fumaco (forze d’assalto della Marina), i gruppi speciali della Gendarmeria e una piccola parte dell’esercito regolare. In tutto cinquemila uomini, molti dei quali sentono che la fine è vicina e hanno paura. Dal campo di Ouattara, dicono che hanno rinviato alla sera di lunedì l’offensiva finale per avere tempo di capire dove siano stati piazzati artiglieria e tank nemici. In realtà , pare che siano emerse forti frizioni tra l’Frci e i Commando invisibili, anti Gbagbo ma non propriamente pro-Ouattara: obbidiscono a un generale ribelle, Ibrahim Coulibaly, personaggio inquietante che non si è ben capito quale partita stia giocando.

Paura ce l’aveva anche l’ex capo di Stato maggiore Philippe Mangou che venerdì scorso aveva defezionato, chiedendo protezione all’ambasciata sudafricana. Ora, il regime annuncia trionfante il ritorno del figliol prodigo. Ma facendo domande si scopre che il generale si sarebbe consegnato dopo che Gbagbo aveva minacciato di radere al suolo il villaggio d’origine di Mangou e di uccidergli figli e parenti. Il suo destino è comunque segnato. Ma anche quello del presidente golpista non riserva niente di meglio, tanto che – secondo quanto riferito a Peacereporter da fonti del governo ivoriano, il 31 marzo Gbagbo avrebbe contattato il governo del Benin per chiedere rifugio per sé e per i suoi. Aveva già  pronto il discorso di resa. E invece l’hanno costretto a restare. Il cenacolo nero è composto dai pastori evangelisti che ormai costituiscono il nucleo forte dei consiglieri dell’ex presidente, l’anima oltranzista del regime. Da mesi vanno ripetendo a Gbagbo che lui è stato scelto da Dio come suo emissario, che deve realizzare la sua missione. In questa storia di fanatismo suicida, spiccano tre personaggi oscuri: il ministro della Gioventù Charles Ble Goudé, che da ore lancia messaggi di terrore alla popolazione, dicendo che i francesi stanno per compiere un genocidio come quello ruandese; il Consigliere spirituale della presidenza, Moise Koré, ex presidente della federazione ivoriana di basket; la moglie del presidente, Simone, una zarina che ha fatto diventare Gbagbo una sorta di suo portavoce. Numero due del partito di governo (Fpi), capo deideputati, già  invischiata nella misteriosa scomparsa/omicidio del gionalista franco-canadase Guy André Kieffers, la signora ha convinto il marito ad abbandonare il cattolicesimo e a circondarsi di pastori protestanti evangelici fanatici. Che pregano notte e giorno. In queste ore d’angoscia prega anche monsignor Kutwa. Prega che non si realizzi il volere del dio allucinato di Gbagbo e della sua corte di stregoni.

 


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