Fuoristrada, motovedette e prestiti: ecco il piano
ROMA – Il presidente del Consiglio annuncia per lunedì un intervento taumaturgico sul governo tunisino. «Decisivo», a suo dire, nel convincerlo ad accettare i rimpatri coatti di migranti dall’Italia e ad impegnarlo a sigillare le proprie coste. E nel battezzare la sua missione, per la nona volta in nove anni, attinge al format retorico del «piano Marshall». Dei precedenti piani (“piano Marshall” per la Somalia, 2002; “piano Marshall per il Medio Oriente”, 2003; “piano Marshall per l’Abruzzo”, 2008; “piano Marshall per la Sardegna”, elezioni regionali 2009; “Piano Marshall per il Sud”, 2009; “Piano Marshall per la Palestina”, 2010; “Secondo piano Marshall per il Sud”, 2010; “Piano Marshall per i giovani”, marzo 2011; “Piano Marshall per il Maghreb”, marzo 2011), non ne è stato nulla. Dunque, che cosa, davvero, Silvio Berlusconi andrà ad offrire a Tunisi? Per quanto ne riferiscono fonti qualificate della nostra diplomazia e del ministero dell’Interno, l’offerta italiana non si muoverà , nei termini e nelle cifre, da quella avanzata dai ministri Maroni e Frattini nei loro colloqui a Tunisi il 25 marzo scorso. Quella che non ha sin qui visto immediate contropartite. Parliamo dunque di 95 milioni di euro a titolo di “credito di aiuto” (già in buona parte impegnati da richieste per 60 milioni di euro avanzate da Tunisi ai nostri ministeri dell’Interno, dell’Agricoltura e della Sanità ). Di forniture, “a titolo di dono”, di fuoristrada e imbarcazioni per la sorveglianza delle coste. Dell’apertura di una linea di credito di sostegno alle piccole e medie imprese tunisine per 73 milioni di euro, dei 9 milioni e mezzo di euro “a titolo di dono”, per il «piano di protezione del Mediterraneo». Si tratta, insomma, per lo più di prestiti agevolati (per altro non ancora erogati) non decisivi per raddrizzare il piano inclinato su cui balla il popolo tunisino dal giorno della sua rivoluzione. I dati consegnati dal governo di Tunisi a Roma documentano infatti stime di crescita del Paese precipitate dal 5% a meno dell’1%, con una perdita di posti di lavoro che porterà il numero dei disoccupati a 900 mila unità , compresi i tunisini rientrati nel Paese dopo lo scoppio della guerra in Libia. Pensare di contenerli con qualche motovedetta e fuoristrada in regalo e con un centinaio di milioni di euro di prestiti, è un’illusione. Anche perché, stime alla mano, la Tunisia avrebbe bisogno di attingere in tempi brevi a risorse liquide superiori ai 2 miliardi di euro. Dunque, quale “piano Marshall”? A ben vedere – la Farnesina ne è consapevole – l’unica forma di cooperazione decisiva sarebbe mettere in moto il programma strutturale di «aiuti per lo sviluppo» costruito da “doni”, “crediti di aiuto”, “conversione del debito”, che l’Italia ha previsto per l’intero Maghreb e che oggi ammonta, nominalmente, a 1 miliardo di euro. Il problema, però, è che per farlo è necessario finanziare almeno lo “start-up” di imprese o joint-venture. Palazzo Chigi è disposto a farlo? È un fatto che, dall’inizio della crisi, non un solo euro dei 5 milioni stanziati da Palazzo Chigi a Farnesina, Difesa e Protezione Civile per i primi interventi umanitari in Tunisia è stato ancora erogato.
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