I top gun aspettano l’ok dalla Turchia così l’Italia si prepara ai raid in Libia

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L’aviazione italiana è già  pronta a compiere attacchi a terra: molto poco cambierà  nello schieramento di uomini e mezzi, e meno ancora cambierà  nella catena di comando. La Difesa sin dall’inizio dell’intervento ha messo a disposizione della Nato i Tornado: al contrario degli F-16 schierati all’inizio e degli Eurofighter scesi in campo poi, entrambi caccia destinati alla superiorità  aerea, i Tornado in versione Ecr, dotati del missile anti-radar “Agm-66 Harm”, sono nati per missioni di attacco al suolo. In altre parole, non c’è bisogno di ulteriori decisioni: il “transfer of authority”, cioè il passaggio formale con cui l’Italia ha conferito all’Alleanza il comando su quegli specifici mezzi, è già  stato fatto. Cambiano soltanto i limiti alle condizioni d’impiego. Ovviamente l’impegno nuovo potrebbe richiedere anche mezzi diversi, come i caccia Amx adoperati per attacchi al suolo nel teatro afgano. Sono pronti nella base di Amendola, resa disponibile alle esigenze Nato e ancora non utilizzata. Ma al momento non c’è niente di deciso. Si può invece escludere l’ipotesi che l’Italia schieri i suoi aerei senza pilota Predator: al contrario della Us Air Force, l’Aeronautica può schierare solo la versione disarmata, che è riservata a esigenze di sorveglianza per la protezione del contingente nazionale in Afghanistan. La disponibilità  italiana ad operazioni di attacco a terra non modifica quello che i militari chiamano la catena di comando, cioè il “percorso” degli ordini: dalle decisioni, prese in ambiti politici, alle realizzazioni pratiche, competenza dei militari. Cuore delle operazioni in Libia è il quartier generale dell’Alleanza atlantica, a Mons, in Belgio. Le scelte dei Paesi membri della Nato si trasformano in strategie complessive nelle palazzine che ospitano “Shape” (nell’eterno amore dei militari per gli acronimi, vuol dire Quartier generale supremo delle potenze alleate per l’Europa) sulla strada per Casteau, appena fuori dal centro cittadino di Mons. Il “Saceur”, il comandante supremo, è James Stavridis. Le strategie complessive “discendono” e vanno trasformate in tattica (cioè legate al teatro specifico della guerra) e quindi in piani specifici per ogni missione. Per le operazioni in Libia, da Mons le indicazioni arrivano a Napoli, nella base di Capodichino, responsabile per gli scenari meridionali, guidata dall’ammiraglio Samuel Locklear. Poi “scendono” a Izmir, in Turchia, dove ha sede il comando Nato competente per le operazioni aeree, guidato dal generale Ralph Jodice (la parte navale risponde a Napoli, con l’ammiraglio italiano Rinaldo Vieri). Infine, le direttive “rimbalzano” a Poggio Renatico, vicino a Ferrara, da dove vengono poi “distribuite” alle diverse basi coinvolte in Unified Protector. Questo comando è ospitato in una avveniristica base sotterranea su tre livelli. Deve coordinare gli stormi sul fronte sud dell’Alleanza e riceve le informazioni in tempo reale da satelliti e aerei radar Awacs, dai radar di terra, dalle navi in navigazione nel Mediterraneo. Questo permette alla sala operativa di seguire le operazioni “in diretta”, mentre nelle altre sale il personale Nato pianifica le attività  successive e analizza i dati raccolti durante le operazioni. Ma ovviamente in tempi di tecnologia digitale le comunicazioni fra i diversi livelli della catena si svolgono nei due sensi, ad altissima velocità : «La situazione ideale, a cui tendiamo, è quella in cui possiamo mettere le autorità  politiche, al vertice della catena, in condizioni di decidere loro direttamente se effettuare una certa azione militare o no, valutando i pro e i contro», dice un alto ufficiale. Fra i comandi coinvolti vige una gerarchia precisa, ma come sempre è la situazione sul campo a imporre minore rigidità  alla divisione dei ruoli. Accanto alla linea di comando Nato è presente il vincolo gerarchico nazionale, che convive accanto a quello atlantico. Insomma, non è un caso se il centro di operazioni aeree di Poggio Renatico sia guidato da un italiano, il generale Mario Renzo Ottone. Ma una volta aderito a una coalizione internazionale, è quanto meno irrealistico ipotizzare che i Paesi membri “dissentano” da singole operazioni, soprattutto a livello esecutivo. Le diverse nazioni, insomma, discutono a livello di vertice: con gli ambasciatori, oppure direttamente con i ministri della Difesa o degli Esteri. I militari eseguono.


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