Il crudele fratello di Bashar Assad che guida la repressione in Siria

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Lenti verde scuro, modello da aviatore, come li portava il padre, l’altro militare vero della famiglia. Perché Maher avrebbe potuto essere il successore e lasciare il fratello maggiore Bashar agli studi di chirurgia oculistica a Londra, se a quella cena di dodici anni fa non avesse sparato nello stomaco al cognato Assef Shawkat, già  allora uno degli uomini più potenti del Paese e adesso vicecapo di Stato Maggiore. Assef aveva osato replicare all’ordine di starsene fuori dagli affari politici di casa (anche se è il marito di Bushra, primogenita e unica figlia femmina di Hafez). Prima di morire nel giugno del 2000, il capo della dinastia ha coltivato l’impeto guerresco del figlio e cercato di dirigerne gli impulsi feroci. Che in queste settimane di rivolta sono stati messi al servizio della repressione. Maher (43 anni, due in meno del fratello presidente) comanda la Guardia Repubblicana, controlla la Quarta divisione corazzata (mandata al sud per assediare la ribelle Deera) e i due battaglioni d’élites dispiegati a Damasco — scrive il britannico Sunday Times — per evitare che le proteste crescano nella capitale. Le operazioni per calpestare le manifestazioni sono state affidate a lui, che risponde direttamente a Bashar. La vecchia provinciale scende verso Deraa e il confine con la Giordania attraverso i campi di pomodori. I contadini della piana dell’Hauran vendono gli ortaggi nelle cassette agli stessi incroci sorvegliati dai carrarmati. I villaggi sono isolati e la città  più grande è strozzata da cerchi concentrici di pattuglie militari che si addensano sul centro e la moschea Al Omari. Qui è territorio della Guardia repubblicana, che riceve gli ordini da Maher e da nessun altro. I tank sono stati schierati ieri anche attorno a Banias e alla sua raffineria sulla costa. Cinque dimostranti sono stati uccisi dagli sgherri in borghese del regime, che hanno sparato sul corteo formato da qualche centinaio di persone. Gli shabiha, gruppi paramilitari formati da fedeli alla famiglia Assad, sono già  stati sprigionati per terrorizzare Latakia. Schierati assieme agli agenti in borghese del ministero degli Interni e alle milizie del partito Baath, che costituiscono una forza di quasi 110 mila uomini. Riappacificati in nome del potere, Assef e Maher hanno lavorato per garantire che la minoranza alauita (la setta sciita a cui appartiene la famiglia) restasse maggioranza tra gli ufficiali dell’esercito. Le unità  scelte purgate dai sunniti sono quelle utilizzate dal 18 marzo. «Questi soldati sono stati indottrinati a credere che la loro comunità  verrebbe sottomessa, se la maggioranza sunnita conquistasse il potere — spiega Andrew Terrill, docente dell’Army War College in Pennsylvania, all’agenzia Reuters —. Per questa ragione sono decisi a reprimere la rivolta con la violenza e gli apparati di sicurezza sono pronti a intervenire per schiacciare il dissenso tra i militari che non appartengono alla setta» . La prigione di Seydanya sta nascosta in cima a un colle di pietre rosse, tra le montagne e le grotte dove millesettecento anni fa i monaci cristiani pregavano in aramaico nel silenzio. I famigliari dei detenuti politici, il 5 luglio del 2008, potevano sentire le urla e gli spari a chilometri di distanza, tenuti lontano dai posti di blocco. La sommossa capeggiata dagli islamisti viene annientata dall’intervento delle forze speciali: venticinque morti e un video che circola in Internet. Le macerie sembrano i resti di un assalto con i mortai, i corpi dei prigionieri sono mutilati dai proiettili, in mezzo si muove un uomo identificato come Maher, riprende quasi annoiato lo scempio con il telefonino. Gli oppositori in esilio assicurano che il filmato testimoni le prime ore dopo la repressione. Un altro fratello minore, quasi trent’anni fa, ha comandato il massacro che ancora oggi terrorizza il Paese. Rifaat viene mandato da Hafez ad annientare la rivolta dei Fratelli Musulmani, che da Hama minacciano il regime. La Brigata 47 e la Brigata 21 bombardano con l’artiglieria la città , seppelliscono la ribellione sotto le macerie: ventimila cadaveri rovesciati nelle fosse comuni, coperti dall’asfalto e dal silenzio. Strage e Hama sono le due parole che i siriani non mettono mai insieme. Pochi osano ricordare ad alta voce quello che chiamano «l’incidente» .


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