Il default greco? All’Europa costerebbe più degli aiuti

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Finì con altri due interventi in poche ore per Aig e Merrill Lynch, con la sconfitta repubblicana alle elezioni e, mesi dopo, con un piano da 700 miliardi di dollari per tutta Wall Street (più un aiuto da 870 miliardi all’economia in recessione). Martedì Lars Feld, consigliere economico di Angela Merkel a Berlino, è tornato a parlare di una «ristrutturazione» del debito di Atene. Poco prima vi aveva accennato Wolfgang Schà¤uble, ministro delle Finanze tedesco. Di fronte all’ira dei contribuenti, la Germania è tentata di lasciar cadere la Grecia quando -presto -Atene avrà  bisogno di nuovi aiuti. Forse una scelta utile a far risalire Angela Merkel per qualche giorno nei sondaggi: il solo problema è che il calcolo dei costi e benefici non torna. Presto l’onere per i contribuenti europei (e tedeschi) emergerebbe come molto maggiore di quello di un salvataggio di lungo respiro. In questi giorni, varie simulazioni sul debito greco sono atterrate sul tavolo dei banchieri centrali europei e anche in Banca d’Italia. Si tratta di scenari disegnati dalle grandi banche d’investimento nel caso in cui Atene rinegozi le condizioni o annunci che non ripagherà  i creditori per intero. E i risultati di tutti i test convergono: l’insolvenza greca scaricherebbe sull’Europa rischi e costi molto più alti di quelli di un lungo salvataggio. L’onere più diretto viene dal sistema bancario greco, che finirebbe spazzato via da un’insolvenza anche solo parziale del governo. Per evitare catastrofi peggiori in tutta l’economia, il resto d’Europa dovrebbe rapidamente ricapitalizzare gli istituti del Paese. Il loro patrimonio oggi è infatti composto da circa 50 miliardi di euro di titoli di Stato nazionali. Un taglio al valore nominale del debito (presumibilmente, fra il 40%e il 60%) dimezzerebbe di fatto il capitale delle banche private, con perdite superiori al loro valore di Borsa che le renderebbero insolventi all’istante. I contribuenti francesi e tedeschi rischiano poi di essere chiamati anche al sostegno di alcune banche dei loro Paesi, esposte su Atene per circa 10 miliardi. Alla fine persino la Banca centrale europea avrebbe bisogno di risorse fresche, ancora una volta ad opera dei cittadini attraverso i governi. I numeri non permettono dubbi: il capitale della Bce è di dieci miliardi, la sua esposizione diretta al debito greco di oltre 17,6. Inoltre, i governi europei perderebbero parte dei fondi per decine di miliardi già  prestati alla Grecia nell’ultimo anno. A fronte a questi costi diretti, dalle simulazioni risulta che un’insolvenza adesso non farebbe che aggravare i problemi di Atene. Un ulteriore salvataggio dovrebbe arrivare subito dopo, perché il governo non riuscirebbe a finanziarsi neanche se ripudiasse il 100%del suo debito. La Grecia ancora nel 2011 gestisce un bilancio in forte deficit anche dopo aver pagato tutti gli interessi passivi: dovrebbe comunque indebitarsi per continuare a funzionare, ma nessun privato farebbe credito a un Paese a quel punto insolvente. Il sostegno dovrebbe dunque arrivare dal resto d’Europa, nel frattempo alle prese con un effetto di contagio dall’impatto imprevedibile: basti pensare che i derivati d’assicurazione sul debito greco valgono oggi 74 miliardi di dollari (a carico delle banche internazionali). Il paradosso è qua: oggi la Grecia non può fallire, ma è di fatto insolvente. In teoria nel 2012 dovrebbe tornare sul mercato per raccogliere circa 40 miliardi di euro, eppure alle condizioni attuali è improponibile. Per questo molti banchieri centrali europei, che hanno studiato le simulazioni sul fallimento, vedono l’unica via d’uscita in un allungamento del prestito europeo: sia nei tempi che negli importi. Passeranno tra i tre e i sei anni prima che Atene possa tornare da sola sui mercati. Nel frattempo la costosa via di oggi, l’aiuto europeo, è in realtà  quella più a buon mercato. A patto, ovviamente, che Angela Merkel riesca a spiegarlo ai suoi elettori.


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