Il Paese dei camaleonti

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Le ultime a poterne criticare la mancanza di carità  sono dunque le sbiadite camicie verdi nostrane, esposte all’insofferenza di una base che avevano illuso con la retorica dei “respingimenti” e l’ignominia del fora di ball. I tedeschi, invece, come al solito si rivelano ferrati nel conteggio delle cifre: difficile ignorare le decine di milioni di euro già  oggi stanziati dalla Ue a sostegno dell’accoglienza dei disperati del mare. Vero è che i fondi comunitari non basteranno se gli sbarchi dal Nordafrica dovessero continuare al ritmo attuale. Ma intanto a Berlino fanno presente che il loro numero complessivo, tuttora inferiore ai trentamila arrivi nei primi tre mesi e mezzo del 2011, non ha le caratteristiche dell'”esodo biblico” o dello “tsunami umano” sbandierato dalle autorità  italiane. È certo per ragioni poco commendevoli di politica interna che Sarkozy e la Merkel indossano la camicia verde, rammentandoci che alla geografia non si comanda e dunque in Europa i meridionali siamo noi. Di fronte alla loro grettezza, una classe dirigente nordista spiazzata dalla perdita dei suoi abituali interlocutori africani, Gheddafi, Mubarak e Ben Ali, misura lo svantaggio dei rapporti di forza. Ben poco le servirà  minacciare una rottura dei trattati europei, eventualità  sciagurata da cui gli italiani avrebbero solo da perdere. Diverso sarebbe stato se, assumendo come virtuoso il suo destino mediterraneo, l’Italia si fosse protesa nel sostegno alla crescita di società  aperte sulla vicina sponda sud del mare. Ma Berlusconi, Bossi e Maroni sono per loro natura impossibilitati a farsi portavoce di una fratellanza euro-africana, da recare in dote a tutta l’Unione. Basti pensare che Maroni chiede a Bruxelles l’applicazione ai tunisini della direttiva 55 del 2001, per la protezione dei rifugiati in fuga dalle zone di guerra, quando ancora il governo italiano si ostina a non recepire l’altra direttiva europea che chiede un percorso più graduato nel rimpatrio dei migranti irregolari. In altre parole, vorremmo un’Europa compassionevole nei confronti dell’Italia fino al punto di considerare eccessivo per il nostro Paese sobbarcarsi da solo 14.500 permessi di soggiorno temporanei (tanti sono i possibili beneficiari del decreto, sulla base delle presenze registrate dal Viminale); lasciando però che nei confronti dei profughi e dei migranti venga ripristinato il “metodo Gheddafi-Maroni”, con sbrigative pseudo-identificazioni in mezzo al mare e respingimenti immediati. Nella trattativa con la Commissione europea non ha certo giovato alla credibilità  del governo Berlusconi la disinvoltura con cui i suoi ministri diramavano previsioni a casaccio: prima l’annuncio di tre-quattrocentomila profughi in arrivo, poi ridotti a centocinquantamila. Tutte cifre lontanissime dalla realtà . Fermo restando che l’Italia, come del resto gli altri Paesi europei, accoglie ogni anno sul suo territorio un numero di immigrati di gran lunga superiore a quello per cui ora lancia allarmi sconsiderati (l’Istat calcola più di 350 mila nuovi arrivati nel solo 2010). Rispetto agli altri paesi europei accoglie un numero molto più basso di rifugiati politici. E in barba al proclama mendace, “aiutiamoli a casa loro”, resta in assoluto il paese occidentale che destina meno fondi per lo sviluppo dei paesi poveri. Certo i militanti leghisti chiamati a manifestare sotto il consolato tunisino di Milano con lo striscione Fora di ball si riconoscono più facilmente nel Mario Borghezio che scende a Lampedusa insieme a Marine Le Pen per invocare il rimpatrio forzato dei tunisini, magari con la flotta militare come ieri proponeva a Radio Padania il trevigiano Giancarlo Gentilini; faticano a giustificare il loro Roberto Maroni costretto a decretare permessi temporanei. C’è da stupirsi se Sarkozy ripaga i leghisti della loro stessa moneta, visto che soffre l’asse xenofobo dei padani con la sua concorrente Le Pen? E l’Europa perché dovrebbe prendere sul serio le richieste di chi tuttora giustifica le truffe sulle quote latte?


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