La Tunisia nega i patti, scontro sui migranti
TUNISI — Si mette male la trattativa sull’immigrazione tra Italia e Tunisia. La vigilia del vertice a Tunisi tra il premier Silvio Berlusconi e il capo del governo provvisorio Béji Caid Essebsi è stata guastata da un duro scontro politico-diplomatico sugli accordi esistenti in materia di rimpatrio. A tarda sera l’agenzia di stampa tunisina, la Tap, ha diffuso una nota del ministero degli Esteri. Linguaggio poco diplomatico: «Nessun accordo sull’immigrazione è stato firmato dalla Tunisia lo scorso 25 marzo» , in occasione della missione diplomatica italiana guidata dal titolare degli Esteri Franco Frattini e dal ministro dell’Interno Roberto Maroni. La «precisazione» prende lo spunto «dalle dichiarazioni di partiti politici, riprese dai media italiani sul non rispetto da parte della Tunisia di un nuovo accordo sull’immigrazione» . In realtà basta aspettare poco per capire qual è il vero bersaglio della sortita tunisina. Da Roma arriva una risposta con la stessa caratura: «Fonti del governo» sostengono che «nella missione del 25 marzo i ministri Maroni e Frattini hanno concordato con le autorità tunisine il rimpatrio immediato e progressivo di tutti i cittadini del Paese nordafricano arrivati a Lampedusa quest’anno, sulla base dell’accordo tra i due Paesi sottoscritto il 6 agosto 1998 e rinnovato nel gennaio del 2009. Ma quell’impegno non è stato rispettato» . E in sequenza: «I Trattati già ci sono, ma con le recenti visite dei ministri Frattini e Maroni sono state definite intese politiche molto chiare che, per ora, non sono state rispettate» . Ancora qualche giorno fa il ministro Maroni aveva accusato pubblicamente la Tunisia «di non mantenere i patti sottoscritti» . Ora questa linea viene rinforzata con la firma dell’intero governo, a cominciare da Berlusconi: evidentemente un segnale mandato ai negoziatori tunisini a non puntare sulle divisioni (vere o presunte che siano) della controparte italiana. In ogni caso da domani il negoziato dovrà ripartire dal terreno più complicato, quello delle interpretazioni delle «note» scambiate il 25 marzo tra i ministeri degli Interni dei due Paesi. A questo punto c’è il rischio che la discussione sulle misure di pronto intervento slitti dalla politica alla disputa giuridica e, da qui, al confronto sui principi fissati dal diritto internazionale. E sarebbe una sorpresa, perché nelle ultime ore si sono allargati i margini per un’intesa sul rimpatrio (graduale) degli immigrati. In realtà il governo provvisorio tunisino, sovrastato da ogni genere di problemi, deve tenere insieme due esigenze contraddittorie. Da una parte non vuole che l’acerba democrazia perda credibilità a livello internazionale, risultando, in definitiva, addirittura meno affidabile della deposta dittatura di Ben Ali. Dall’altra, però, l’esecutivo deve fare i conti con i limiti profondi del nuovo Stato, a cominciare dalla malaparata della polizia (organici decimati e larghe sacche di corruzione). Ecco perché accanto alle piccate «precisazioni» sulle intese giuridiche, le stesse fonti del ministero degli Esteri ieri si sono «appellate » alla «comprensione dell’Italia» (e per esteso dell’Europa), chiedendo «solidarietà con il popolo tunisino in questo importante periodo di transizione» . Il tentativo è di stabilire un parallelo, ripreso per altro da diversi giornali della capitale, tra l’emergenza di Lampedusa e quella di Ras Jedir. «La Tunisia ha fatto fronte all’afflusso di oltre 150 mila profughi in arrivo dalla Libia, accolti malgrado la difficile situazione del Paese» . Sottinteso: perché non può farlo anche l’Italia?
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