Lampedusa, rivolta contro i rimpatri in fiamme il centro di accoglienza

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LAMPEDUSA – Arrivano sms e telefonate. Arrivano dalla Tunisia, sono i parenti o gli amici di chi è già  da giorni a Lampedusa sperando di arrivare prima o poi in Francia o in Germania. Da Tunisi li avvertono. «Vi stanno riportando indietro, molti sono già  arrivati all’aeroporto di Tunisi trasferiti in aereo da Lampedusa». Così nel centro di accoglienza dove sono asserragliati circa 1500 migranti (mille tunisini, 500 di altre nazionalità ) sbarcati una settimana fa, ma anche ieri e l’altro ieri, scatta la rivolta. Bruciano materassi, lenzuola di carta, salgono sui tetti al grido di “libertà , libertà “, c’è anche chi si procura ferite per potestare. Le fiamme in poco tempo si levano alte e si vedono anche dal centro dell’isola. Dentro le palazzine che ospitano il Cpa è il caos. A centinaia escono dalle camerate, chi per sfuggire al rogo chi per tentare una inutile fuga sperando di trovare la “libertà ” fuori dall’isola. Ma Lampedusa è come una prigione, dalla quale difficilmente si può scappare. La disperazione è tanta e a centinaia scavalcano le reti di contenimento del centro avventurandosi sulle colline dove decine di giornalisti sono appollaiati con telecamere e macchine fotografiche. La protesta cresce e la tensione si fa tangibile: poliziotti, carabinieri, finanzieri e militari dell’esercito che presidiano il centro, dentro e fuori, sono in difficoltà . «Che possiamo fare? Qui la situazione è esplosiva da giorni e oggi ha raggiunto il culmine. Tentiamo di convincerli con le parole, se usassimo manganelli, o altro, sarebbe peggio e ci potrebbe scappare il morto», spiega un funzionario di polizia che tenta di usare i mezzi di persuasione e non della forza per ricondurre alla ragione l’esercito di migranti disperati. L’unica strada d’accesso che porta al centro è bloccata dalle forze dell’ordine che fanno passare soltanto i mezzi di soccorso e le autobotti dei Vigili del fuoco. Le fiamme sono altissime, dentro urla di disperazione e di paura. Sono momenti drammatici. Poi, dopo qualche ora, le fiamme vengono domate, molti tunisini che erano fuggiti dal centro rientrano con le mani alzate in segno di resa. Altri, poche decine, hanno raggiunto il cuore di Lampedusa, ma una volta lì, si fermano, si guardano attorno e vedono solo il mare e decine di poliziotti e carabinieri che li cercano per riportarli dentro il Cpa. Soltanto a tarda sera la situazione si normalizza. Anche se resta l’incognita di chi saranno i prossimi a essere rispediti nell’inferno africano. Non a caso l’ultima protesta scoppia proprio all’aeroporto dove i 30 migranti destinati al secondo volo di rimpatriati si rifiutano di scendere dal pullman, ritardando la partenza dell’aereo che, alla fine, è comunque decollato. Per tranquillizzare gli altri 1500 presenti nel centro di accoglienza invece li si è convinti che la metà  di loro saranno imbarcati sulla nave Excelsior in rada da alcuni giorni, destinata a trasferirli sulla terraferma, nei centri di accoglienza di Crotone, Bari, Brindisi e in altre città . «Non possiamo contenerli, questa è una situazione ingovernabile – dice un poliziotto in servizio dentro il centro di accoglienza – adesso si sono calmati un poco, ma hanno sempre paura che la nave possa trasferirli in Tunisia. Invece con la nave non ci andranno mai, perché l’accordo con il governo tunisino prevede il rimpatrio di 30 persone per volta, sessanta al giorno. E con tutti quelli che sono qui e quelli che stanno per arrivare, non c’è altra soluzione». È una soluzione che salva capra e cavoli perché, come già  accade da tempo, una volta trasferiti nei centri d’accoglienza sulla terra ferma, in Sicilia o in altre regioni, i migranti fuggiranno. «Scappano anche i minori – dice un esponente delle organizzazioni umanitarie che operano a Lampedusa – figuriamoci se non lo faranno gli adulti».


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