Lavoro Giovani disoccupati, bassi salari e precarietà 

by Sergio Segio | 30 Aprile 2011 14:35

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Economista e docente. Giorgio Lunghini, le brutte notizie non arrivano mai da sole: crescono inflazione e disoccupazione, soprattutto giovanile. Che vuol dire,come stanno gli italiani? «Stanno malissimo, ma non tanto per l’inflazione. Il costo della vita è certamente un problema, ma non è il problema principale». E qual è? «Sono tre. Uno l’ha citato: la disoccupazione giovanile. Gli altri due si chiamano bassi salari e precarietà ». Cominciamo dall’inizio. «I dati accertati, al di là  degli ultimi aggiornamenti, dicono che i giovani senza lavoro sono il trenta per cento del totale. È uno dei tassi più alti tra i Paesi sviluppati. Vuol dire che un ragazzo su tre non fa nulla. E quando finalmente trova un lavoro, il suo salario d’ingresso è fermo ai livelli di otto o addirittura dieci anni fa». Come se ne esce? «La disoccupazione giovanile si combatte soprattutto con investimenti seri nella scuola e nella ricerca. Ma noi purtroppo siamo tra quelli che in Europa spendono meno in questi settori». Giovani e precari. «Un binomio disperante. Ma il concetto di precariato ormai va esteso, non è più soltanto un tratto distintivo del mondo giovanile. Si è precari a quaranta e più anni. Ci sono famiglie che vivono con uno o due stipendi precari, mentre chi ha un’occupazione fissa soffre comunque per via dei salari troppo bassi. Chiaro che i consumi non ripartano». E qui torniamo all’inizio, al caro-vita. «Le cose stanno così: mentre i prezzi crescono, anche per via del costo del petrolio, i bassi salari fanno sì che i consumi siano bassi. Questi sono la componente principale della cosiddetta domanda effettiva, che nel nostro Paese è troppo bassa e non viene compensata né dagli investimenti né dalle esportazioni. L’inflazione aggrava questa situazione. Insomma, se già  prima compravo poco pane oggi ne compro ancora meno». Per dare una scossa all’economia, il governo ha preparato il documento economico e finanziario e il piano nazionale di rilancio. Confindustria e Cgil non li hanno accolti con entusiasmo. Anche il governatore Draghi ha espresso qualche riserva. Lei che giudizio dà  all’operato del governo? «Quando il problema è la crescita, se non riescono a provvedere autonomamente le imprese private, occorre che intervenga lo Stato, con investimenti che arricchiscano durevolmente sia l’economia sia la società . Cioè infrastrutture, come stanno facendo la Germania o la Cina, e istruzione». Ma Tremonti dice che prima bisogna sistemare i conti pubblici. «È vero. Ma questo obiettivo si può raggiungere con tagli alla spesa improduttiva e non con tagli lineari a tutti i settori». Perché la politica non fa investimenti a lungo termine? «Perché l’orizzonte temporale della politica è quello elettorale. Quello necessario a risolvere i problemi è molto più lungo».

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