«Il modello per crescere? È Chrysler»

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BOLOGNA— E la Fiat, l’azienda definita da Barack Obama «protagonista di uno straordinario turnaround» , che è andata a Detroit a lavorare al salvataggio di Chrysler. Ma è Chrysler, oggi, che può riportare a Torino quella carica che la Fiat, nel frattempo, ha un po’perso per strada. Sergio Marchionne non sta suggerendo una «americanizzazione» del Lingotto. La base del ragionamento — e del matrimonio — è anzi l’esatto contrario: «Due mondi che si avvicinano. Due culture che si uniscono» . Dopodiché, però, è inutile girarci intorno. In Chrysler, forse perché il fantasma del fallimento ancora non è stato del tutto scacciato, la voglia di farcela e la spinta al cambiamento stanno producendo lo stesso miracolo vissuto dalla Fiat sette anni fa. Al Lingotto, forse proprio perché il baratro sfiorato è più lontano nella memoria, lo spirito che portò alla «resurrezione impossibile» non è più così vivo. E sarà  stata «la crisi mondiale, l’impegno negli Usa, la scissione, la mia lontananza» , dice Marchionne. Ma è vero, che il gruppo si è un po’seduto. Se lui non usa esattamente queste parole, la sferzata al management resta inequivocabile: negli ultimi due anni «alcuni dei leader, che pure avevano imparato a gestire gli imprevisti, di fronte allo stravolgimento del contesto in cui si erano abituati a operare non si sono più sentiti forti come un tempo. Qualcuno ha perso fiducia in se stesso» . È un problema, ammette. «Ci stiamo già  lavorando» , assicura. E si tratta solo di «ritrovare» : «Quel tipo di tensione che ha fatto rinascere la Fiat» ieri è lo stesso che «sta facendo rinascere la Chrysler» oggi. Va semplicemente rifatta la «trasfusione» , e perciò «è più importante che mai far leva su Chrysler, usare quel cantiere aperto e sfruttare il suo dinamismo anche a vantaggio della Fiat, per farla ripartire in Europa» . Condizioni e volontà  ci sono, dice Marchionne dopo l’introduzione del direttore generale di Unicredit Roberto Nicastro alla prima delle Mba Lectures Unicredit Alma Graduate School. Purché ognuno faccia la propria parte. E qui, all’autocritica sulla «caduta di tensione» , aggiunge le critiche a fette del sistema. L’esempio dell’impegno torinese è ovviamente Fabbrica Italia. «Il processo è partito, e non torneremo indietro» . Frase che è da un lato una promessa: Marchionne riconosce gli sforzi dei sindacati che «hanno condiviso con noi la necessità  del cambiamento, a Mirafiori e Pomigliano abbiamo fatto grandi passi avanti» . Ma, appunto, «non torneremo indietro» , Fiat continuerà  nelle altre fabbriche. E l’avvertimento va chiaramente alla Fiom (i cui iscritti, guidati dal segretario cittadino, Bruno Papignani, ieri lo hanno accolto con striscioni di protesta): «Non possiamo più continuare a riaprire trattative per un’ora di straordinario. Noi facciamo auto, non politica: e il mercato non lo controlla la Fiat e non lo controlla Marchionne» . Non sta scritto da nessuna parte che debba ripetersi sempre quello che accadrà  quest’anno: «Chrysler, dove saliremo al 30%nei prossimi 30-60 giorni, guadagnerà  più di Fiat» . Ma il processo virtuoso, in una fase globale che «è uno spartiacque anche per l’Italia» , per «lo scatto d’orgoglio e dignità  di cui noi tutti abbiamo bisogno» , non può innescarsi se si sfilano alcuni protagonisti nel Paese. Tra i quali, su domanda di uno studente, Marchionne alla fine include anche i media. Fiat controlla la Stampa e il 10,3%del Corriere. Partecipazioni «che fanno parte di un insieme di equilibri sociali necessari a mantenere la Fiat nella situazione in cui si trova» . Chiude però così: «Abbiamo zero influenza sui giornali. Basta leggere il Corriere e le cose ingiuste che scrive. Ma è un investimento e come tale spero che le attività  di Rcs diano risultati» .


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