«Non c’è altra soluzione I clandestini vanno respinti»

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PARIGI— Signor primo ministro Franà§ois Fillon, la Francia ha respinto i tunisini alla frontiera di Ventimiglia. Quando nel 2008 venne firmato il trattato italo-libico che prevedeva il respingimento dei clandestini, il francese Jacques Barrot, allora commissario europeo all’Immmigrazione, gridò allo scandalo. Non si tratta di due pesi e due misure? «Prima di tutto, vorrei dire che la Francia è totalmente solidale con l’Italia quanto alla questione delle ondate migratorie provocate dalle rivoluzioni del Sud del Mediterraneo. Non pensiamo affatto che ogni Paese possa affrontare la situazione da solo. Dobbiamo rafforzare insieme la sorveglianza delle coste, e l’Europa deve sostenere anche finanziariamente l’Italia, che sopporta i costi dell’assistenza provvisoria a queste persone. Per il resto, ci atteniamo agli accordi di Schengen: non ci sono altre soluzioni che ricondurre gli immigrati clandestini nel Paese d’origine, attraverso il Paese di ingresso nell’Ue. Ma non abbiamo chiuso la frontiera di Ventimiglia» . Nei prossimi giorni il premier Silvio Berlusconi andrà  in Tunisia. La Francia si impegna dunque ad aiutare l’Italia? «Certamente. Proporremo alla Tunisia l’associazione all’Unione europea in cambio di un certo numero di impegni, tra i quali quello di riprendere sul suo territorio i clandestini. A lungo termine ciò che sta accadendo in Tunisia è davvero positivo per i tunisini, e anche per noi» . Quanto alla Libia, a Londra sono arrivati il ministro degli Esteri in fuga Moussa Koussa, e un emissario di Gheddafi. Il regime si sta sfaldando? «Penso che il regime di Gheddafi sia condannato, a corto o a medio termine. Abbiamo la sensazione che attorno a Gheddafi aumentino dubbi e defezioni, ma sul piano militare la situazione resta ancora molto incerta» . Da quando la Nato ha preso il comando della missione, gli insorti lamentano la diminuzione dei raid aerei. È anche per questo che la Francia preferiva evitare l’ombrello della Nato? «No, la Francia non è mai stata ostile alla Nato quanto controllo delle operazioni militari, ma abbiamo sempre rifiutato che l’organizzazione assumesse anche la gestione politica della missione, per una ragione semplice: l’intervento in Libia non deve apparire come un’iniziativa dell’Occidente contro il mondo arabo, perché invece è un’operazione chiesta dagli arabi per evitare un massacro» . Non avete dubbi sugli insorti? Chi sono gli oppositori? «Siamo in una rivoluzione, e bisogna trattare con sconosciuti, o personalità  del passato regime che hanno cambiato campo: non credo ci siano altre opzioni. Dopo essere stati sorpresi, tutti, dalle rivoluzioni tunisina ed egiziana, abbiamo considerato che in Libia c’era non solo un’urgenza umanitaria, ma anche la necessità  politica di non scoraggiare un movimento che rivendica il suo carattere democratico» . Gli Stati Uniti hanno precisato che non armeranno gli insorti. Potrebbe farlo la Francia? «No, noi non lo facciamo. La Francia vuole rispettare totalmente le risoluzioni 1970 e 1973 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, che impongono un embargo sulla vendita di armi alla Grande Jamahiriya libica» . Bisogna concedere l’impunità  al ministro Koussa? «Occorre discuterne con la comunità  internazionale ma penso di sì. Le vie di uscita sono necessarie, non conviene a nessuno mettere l’avversario nell’angolo. È troppo pericoloso» . Questo potrebbe incoraggiare le defezioni? «Certamente» . Quando l’Italia è stata esclusa dalla videoconferenza tra Obama, Sarkozy, Cameron e Merkel, si è avuta la sensazione che si volesse tenerla un po’in disparte. Ci sono stati degli errori da parte vostra? «Se il popolo italiano prova questo sentimento, vuol dire senz’altro che avremmo dovuto spiegarci meglio. Il presidente Obama voleva soprattutto annunciarci la sua decisione di passare il comando delle operazioni alla Nato. Ora l’Italia ha un ruolo veramente importante, per ragioni storiche è il Paese che ha più legami con la Libia e quindi può essere determinante nella fase politica che si sta per aprire. Lo dimostra il fatto che sarà  l’Italia, dopo il Qatar, ad accogliere la prossima riunione del Gruppo di contatto incaricato della guida politica dell’intervento» . Il sorvolo della Libia è cominciato ancora prima che il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi arrivasse a Parigi per il summit del 19 marzo, e il presidente Nicolas Sarkozy ha annunciato da solo l’inizio delle operazioni militari, quando già  gli aerei francesi sorvolavano il territorio libico. «È una ricostruzione un po’eccessiva. Abbiamo dato ai nostri piloti l’ordine di intervenire alla fine del vertice. Sorvolavamo il Paese già  da prima, questo è vero, ma bisognava fare presto perché eravamo preoccupati che Bengasi potesse cadere. Silvio Berlusconi era presente al summit» . Chi critica l’intervento evoca motivi molto concreti, come le mire francesi di sostituirsi all’Italia come potenza di riferimento, o gli interessi della Total. «Sono fantasie. Se ci mettiamo nell’ottica del cinismo, è allora spesso preferibile fare affari con regimi autoritari stabili piuttosto che incoraggiare dei movimenti che nessuno sa bene a che cosa porteranno. Non c’è la minima motivazione economico-finanziaria nell’iniziativa della Francia» . Italia e Francia non dovrebbero ammettere insieme qualche errore nella loro politica passata nei confronti di Ben Alì, Mubarak, Gheddafi? Dalla tenda del Colonnello piantata a Parigi e a Roma, alle vacanze dei politici in Nordafrica, comprese le sue in Egitto. Non esiste un dovere di trasparenza nei confronti delle nuove democrazie nascenti? «È normale che degli Stati intrattengano delle relazioni con altri Stati, quali che siano i regimi che li governano. Questi rapporti sono necessari. Detto ciò, riconosco che abbiamo, a torto, pensato che questi regimi fossero eterni. Purtroppo non possiamo avere rapporti solo con le democrazie, ma quando trattiamo con i Paesi autoritari occorre sempre avere presente che la loro evoluzione verso la democrazia è una necessità . Dobbiamo essere più rigorosi e vigili» . La politica di «grandeur» che tanto irrita gli italiani appartiene al passato, è solo folklore o qualcosa che resiste? «La Francia non si sente tale se non è presente sulla scena internazionale, è vero. Questo fa parte della nostra storia ma può essere corretto con le conseguenze dell’integrazione europea. Talvolta possiamo provocare delle incomprensioni, ma ci piacerebbe che l’Europa avesse la stessa volontà  di difendere una visione del mondo messa in discussione dalla globalizzazione. Ed è vero che, da questo punto di vista, la Francia non si rassegna a tacere. Poi, i sistemi politici sono molto diversi e spiegano molte cose» . Al di là  dell’aspetto istituzionale, non gioca un ruolo anche la personalità  del presidente Nicolas Sarkozy? «Francamente, la voglia di mettere il naso negli affari del mondo è stata rimproverata alla Francia da sempre, il presidente Chirac veniva criticato per gli stessi motivi. Ma bisogna essere giusti: senza l’impegno personale del presidente Sarkozy, quanti morti in più ci sarebbero stati a Bengasi?» Grande interesse delle società  francesi per l’Italia: nella guerra del latte per Parmalat, il ministro Tremonti ha reagito con un decreto anti-scalate. Che cosa pensa del patriottismo economico, che è una specialità  francese? «Vorrei sottolineare che la Francia è oggi uno dei Paesi europei più aperti agli investimenti stranieri. Il 50%della capitalizzazione della Borsa di Parigi proviene da società  estere. Ci sono 20 mila società  straniere in Francia, che rappresentano un quarto degli impieghi nel settore industriale. E circa duemila di queste sono italiane, che danno lavoro a 140 mila persone in Francia. Questo per dire che il preteso patriottismo economico francese non corrisponde alla realtà . Ci siamo però dati un dispositivo per proteggere le imprese strategiche, che appartengono al settore della Difesa o che potrebbero avere un legame con la sicurezza dello Stato» . Il latte e Yoplait non sembrano strategici… «Infatti Yoplait viene comprata dall’impresa americana General Mills, e il governo francese non si oppone. Nel caso di Parmalat e Lactalis il governo francese si guarda bene dall’intervenire, sia sull’operazione in corso, sia sulla reazione del governo. Ci limitiamo a osservare che Lactalis è molto radicata in Italia, è il primo raccoglitore di latte» . Con bilanci poco trasparenti. «In ogni caso, ci auguriamo che il governo italiano rispetti le regole del mercato comune, e più in generale penso che gli europei dovrebbero dotarsi di strumenti per proteggere le loro imprese dalle scalate, sì, ma delle società  extra-europee, basate in Paesi che non rispettano le regole comuni» . In Italia la decisione di Henri Proglio, presidente di Edf, di non ricandidare Umberto Quadrino alla guida di Edison è stata vista come una possibile ritorsione contro l’intervento di Tremonti su Parmalat. «Le assicuro che non c’è alcun rapporto: il presidente di Edf non è un agente del governo francese, difende gli interessi della sua impresa. Ho fiducia nella capacità  degli azionisti di Edison di trovare un accordo a vantaggio della società » . Quale futuro per il nucleare dopo Fukushima? «Stiamo rivedendo la sicurezza di tutte le nostre centrali nucleari. Faremo esercitazioni a prova di terremoti, inondazioni, guasti totali ai sistemi di raffreddamento. E se una centrale non supera questi test, la chiuderemo» .


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