Ma lo straniero costa sempre meno

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Nella vulgata leghista sono quelli che “rubano il lavoro agli italiani”. Ministri come Maurizio Sacconi e Giulio Tremonti difendono la tesi che i migranti facciano i lavori che gli italiani non vogliono più fare.Laradiografiaoffertadaidati ufficiali, in realtà , mostra un lavoro migrante che in realtà  si sposta là  dove il lavoro già  c’è. Lavoro essenzialmente operaio e legato all’industria manifatturiera, ma soprattutto che pagato fino al 30 per cento in meno degli italiani. Fino al 30 per cento in meno. Secondo il rapporto Caritas gli stranieri residenti in Italia sono circa 4,5 milioni, il 7,5 per cento della popolazione italiana. I lavoratori sono stimati tra 1,5 e 2 milioni di cui la metà  circa è iscritto ai sindacati.
DELL’OLTRE milione e mezzo iscritto all’Inps nel 2008 (come mostra la tabella in pagina) circa la metà  lavora nel Nord del paese e in particolare in tre regioni: Piemonte, Lombardia e Veneto, il cuore dell’insediamento leghi-sta. Circa 200 mila lavorano invece in Emilia Romagna e poi 120 mila nel Lazio. A parte i 59 mila della Campania, la presenza di lavoratori immigrati nel Sud è poco rilevante: meno di centomila. Dove i tassi di disoccupazione sfiorano il 30 per cento, quindi, i migranti non ci sono. Fino al 2009 i lavoratori immigrati in Italia provenivano per la maggioranza dall’Est europeo e “solo” il 21 per cento dal Nordafrica.
Sempre secondo i dati dell’Inps, riferiti al 2008, la grande maggioranza (72,7 per cento) di questi lavoratori sono dipendenti, ma esiste anche un 5,3% di lavoratori autonomi (di cui più della metà  artigiani), un 4 per cento di operai agricoli (di cui la stragrande maggioranza a tempo determinato e insediati soprattutto nel meridione) fino a un 16,5 per cento di lavoratori domestici pari a circa 260 mila persone. Un dato sottostimato vista la quantità  di lavoro nero tra colf e badanti, lavori al 90% femminili. Ancora la Caritas sottolinea che a Milano ci sono più pizzaioli egiziani che napoletani mentre in Val di Non le mele sono raccolte quasi esclusivamente dai senegalesi. Nel Veneto la concia delle pelli è fatta da lavoratori nigeriani mentre in Campania e nel basso Lazio a occuparsi dell’allevamento delle bufale sono i sikh.
NEL DOCUMENTO più completo redatto dall’Inps dopo l’introduzione della Bossi-Fini – che riepiloga i dati raccolti fino al 2003 quindi prima dell’ingresso della Romania nella Ue e prima delle ultime regolarizzazioni degli ultimi due anni ma che comunque offre una radiografia indicativa – le categorie in cui i lavoratori migranti sono maggiormente concentrati sono il commercio (34,5%), l’edilizia (18,1), la metallurgia e la meccanica (14,3), trasporti e telecomunicazioni (5,2), tessile e abbigliamento (5,2), chimica e gomma (4,5). Nel complesso, il settore maggiormente rappresentativo è l’industria (50,1%) e poi il terziario con il 42% di impiego. Dove sostituiscono gli italiani? Certamente nel settore edile dove gli immigrati rappresentano il 15% dei lavoratori regolari (ma dopo l’ingresso della Romania nella Ue questa percentuale è più alta); nella lavorazione del legno (10%), nel tessile (9,7) dove si registra un’alta presenza di lavoro autonomo in particolare cinese, e poi trasporti, commercio, estrazione e trasformazione minerali e chimica con una percentuale di lavoro immigrato di circa il 7%. L’Inps fa notare che gli immigrati “si inseriscono in tutti quei settori dove c’è bisogno di manodopera aggiuntiva” ma vanno a occupare qualifiche medio-basse. L’85% sono operai (contro il 55% dei lavoratori dipendenti italiani), l’8,9 impiegati (35% gli italiani).
SEMPRE L’INPS sottolinea che la maggiore presenza di immigrati nel commercio e nell’edilizia si spiega per “la minore consistenza delle retribuzioni e per la maggiore faticosità  del lavoro” così come nel settore domestico e nell’agricoltura. Secondo la Cgia di Mestre in media, oggi i lavoratori stranieri percepiscono 965 euro netti al mese, 319 euro in meno rispetto agli italiani.


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