Ma nel governo c’è chi rimpiange il mancato «scambio» con le basi per la Libia

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Se si prendono alla lettera le pronunce pubbliche, la strategia politica intravista è quasi senza precedenti: un titolare del Viminale che si domanda se ha «un senso» restare nell’Unione europea, come diceva ieri il leghista Roberto Maroni, dopo che nel fine settimana il presidente del Consiglio ha affermato che «se l’Europa non è concreta è meglio dividersi» , pongono l’Italia in una posizione così insolita da non rendere chiaro come, e a quali costi, potrebbero realizzarsi propositi di distacco. Al momento viene dunque da sé una constatazione: occorrerebbero più capacità  di persuasione politica che avvocati di diritto comunitario per poter superare gli smacchi dei giudizi sfavorevoli alle misure adottate verso gli immigrati riservati, al governo, dalla commissaria dell’Ue Cecilia Malmstrà¶m e dal ministro dell’Interno tedesco Hans-Peter Friedrich, secondo il quale «l’Italia sta violando lo spirito e le regole di Schengen» . Lo si può dedurre anche da una tesi governativa. «Francia e Germania hanno fatto una scelta molto miope, in un momento di emergenza come questo è evidente che i trattati si possono anche non applicare alla lettera perché la cosa più importante è affrontare l’emergenza» , ha sostenuto il sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi. Le mosse compiute dal governo sul Maghreb sono riuscite a rincollare, in materia di immigrazione, un asse franco tedesco spezzatosi sulla guerra in Libia. Di certo, senza benevolenze e appoggi politici dei principali partner sarà  pressoché impossibile ottenere dall’Unione una condivisione degli oneri degli attuali flussi migratori diretti verso l’Italia, le cui dimensioni non sono ritenute a Bruxelles tali da eguagliare emergenze come quelle derivate dalla guerra in Kosovo. Le rivolte in Tunisia sono cominciate in dicembre. «Siamo davanti ad un esodo biblico» , dichiarò Maroni il 13 febbraio, accusando l’Europa di «non fare nulla» . Secondo le statistiche del giorno 14, dal 7 febbraio gli arrivi di migranti risultavano essere stati a Lampedusa 4.941. Adesso hanno superato i 20 mila. Malgrado ciò non cancelli il ritardo nel prepararsi a smistarli in Italia, c’era un’occasione per convincere Francia, Gran Bretagna e altri membri dell’Ue a collaborare di più con il nostro Paese, innanzitutto perché i flussi sono ancora relativamente bassi rispetto a quanto la guerra in Libia ed eventuali future instabilità  di Tunisia ed Egitto potrebbero produrre. La sera del 17 marzo, quando all’Onu fu approvata la risoluzione 1973 che ha permesso i bombardamenti sulla Libia chiesti principalmente da Parigi, Londra e Usa, il ministro della Difesa Ignazio la Russa dovette condurre in una certa solitudine, tramite i militari, i negoziati con gli alleati per definire quali aerei e quali mezzi avrebbe fornito l’Italia. Senza proclamarlo, nel governo c’è chi ritiene sia stato un errore non preparare per tempo uno scambio informale con la Francia e altri alleati: l’Italia poteva offrire basi e aerei in cambio di una mano a distribuire nell’Unione i flussi dall’Africa settentrionale. In una mattinata concentrata sul processo, Berlusconi ieri avrebbe detto che alcuni fanno saltare l’Ue. «L’Europa resti con il suo egoismo. Noi troveremo altre soluzioni» , ha dichiarato il ministro degli Esteri Franco Frattini. Adesso si tratta di vedere quali.


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