Parte una sola nave per Napoli. L’isola resta una polveriera
Al momento però ne partiranno soltanto cinquecento, quanti può contenerle la nave militare «San Marco», l’unica che ha in dotazioni le scialuppe adeguate per prelevare i migranti da terra e portali direttamente nella «pancia del cargo», ormeggiato da diversi giorni dietro al porto e rimasto misteriosamente inutilizzato. La nave passeggeri «Superb», che secondo le previsioni avrebbe dovuto provvedere al trasferimento di almeno 2500 persone, è rimasta ferma al largo perché il «mare grosso» non solo ha impedito che attraccasse al porto ma ha fatto anche saltare il cosiddetto «piano b». Prevedeva, il piano B, il trasferimento dei migranti sulla nave con le stesse scialuppe della San Marco, ma per «motivi di sicurezza» ieri è stato sconsigliato: «È un’operazione troppo rischiosa – spiegano responsabili della polizia – Per poter procedere occorrerebbe una piattaforma al largo in quanto la nave passeggeri non è dotata come quella militare di un ingresso per le scialuppe». L’imbarco dei migranti comincia intorno alle sette e avviene, per ragioni di sicurezza, dall’altra parte del porto, dove avvengono gli sbarchi. La decisione di caricarne soltanto 500 è stata alquanto delicata, data «la fame di libertà » che alberga da più di dieci giorni tra le migliaia di tunisini di fatto prigionieri nell’isola. E non poteva che generare le proteste di quelli che non sono potuti partire neanche ieri. Non ne possono più di stare qui e la guerra di nervi che ha caratterizzato le dieci ore di attesa ieri giù al porto vecchio ne è stata la dimostrazione. La levataccia, diversamente da tutte le altre, era cominciata nel migliore dei modi. Sulle facce dei tunisini era ricomparso un po’ di sorriso. La decisione di trasferirli «tutti immediatamente» era stata accolta come la fine di un incubo. L’atmosfera mattutina sembrava decisamente meno cupa. Momenti di fortissima tensione se ne sono avuti diversi nel corso della giornata. Uno di questi si è verificato verso l’una, quando è stato incendiato un camper-biglietteria ai lati del porto. È accaduto (il presunto autore è stato fermato) quando sembrava che ormai la tensione tra i migranti fosse di nuovo risalita verso le stelle a causa della mancanza di informazione sulla stallo delle partenze. I motivi questa volta erano tutti legati alle condizioni metereologiche, ma visti i precedenti dei giorni scorsi la diffidenza tra i tunisini è tutt’altro che incomprensibile. Diffidenza e esasperazione, fame voglia di libertà . Queste sono ormai le due componenti dominanti tra gli accampati del porto. «Sicilia, Sicilia, libertà , libertà »: questo hanno nuovamente gridato quando si era sparsa la voce, tutt’altro che infondata, che le partenze erano state nuovamente rinviate. La posticipazione dei trasferimenti è stata un certezza fino a mezz’ora prima che cominciassero «le prove» di trasbordo da parte dei militari. Nessuno, tra i responsabili della sicurezza, aveva il coraggio di comunicarlo ufficialmente ai migranti. Il rischio che si scatenasse una guerra era più che sicuro. Ed è stato proprio questo pericolo che ha indotto il questore di Agrigento a utilizzare finalmente la nave militare per dare almeno «un segnale» di buona volontà ai migranti in già in assetto di rivolta. C’è un clima stranissimo tra i tremila del porto. La brezza del maestrale si mescola al sole cocente. Si passa dalla calma piatta all’alta tensione in un attimo. L’incendio sprigiona un fumo nero che si sparge sopra alla «collina della vergogna», il montarozzo di sassi e rifiuti accanto al porto diventato in queste settimane l’accampamento subumano per centinai di immigrati. L’incendio non provoca feriti sparge panico e scalda gli animo. «Vogliamo partire, per questo è stato appiccato», dice un ragazzo incavolatissimo. «Non è vero, si è sprigionato accidentalmente con una sigaretta», contrabbattono altro migranti cercando di calmare gli animi. Sono passate le due e il clima rischia di diventare incandescente. Tutti chiedono almeno qualcosa, un euro per un caffe e soprattutto sigarette. Nell’isola non se ne trova più una neanche a pagarla oro, e qualcuno arriva anche a barattare qualcosa pur di averne una, come quei tre giovanissimi migranti di Jerba che in cambio di tre manciate di tabacco ci propongono una copia del video del loro viaggio sul barcone registrato con il cellulare. «Quando si parte?», «perché non si parte?», sono le domande più ricorrenti. Non credono che il motivo sia il maltempo, pensano piuttosto all’ennesima beffa. «È vero che Berlusconi lunedì va in Tunisia perché vuole rimpatriarci?», chiede un ragazzo tunisino che dice di raggiungere i suoi familiari a Ravenna. La nave «Superb» sulla quale dovrebbero essere trasferiti è distante un centinaio di metri, ancorata proprio davanti al porto. A un certo accende i motori e si dirige più al largo. Tra gli immigrati risale la tensione. Nessuno capisce bene cosa stia succedendo, ma la situazione potrebbe precipitare. Intervengono i mediatori culturali ma non c’è verso di calmarli. Vogliono sapere ufficialmente se partiranno o no. È a questo punto che un dirigente della polizia è costretto a salire sul tetto di una macchina e spiegare che non c’è nessun inganno, che il motivo è il mare agitato che non consente l’attracco della nave. Il funzionario giura davanti a tutti che «appena si calmerà il mare saranno trasferiti tutti». In molti ci credono e fanno salti di gioia. Alcuni immigrati prendono addirittura sulla spalle il funzionario di polizia, parte un lungo battimani. Non tutti però si convincono che è questione di ore, tant’è che quando verso le 15 arrivano i furgoncini che portano un po’ di viveri in tanti si rifiutano di accettarli. Proclamano infatti lo sciopero della fame contro i ritardi della partenza. Sono ormai le quattro del pomeriggio e di partire non se ne parla proprio. Anzi, diversamente da quanto previsto poco prima, il mare adesso sembra addirittura più agitato. Molti cedono alla fame e si mettono in fila per il «pranzo»: un sacchetto con dentro un piatto di riso, due panini, una bottiglia di acqua per due, e quattro sigarette a testa per chi fuma. Praticamente tutti. Sono ormai le cinque e se non accade qualcosa di positivo può succedere di tutto. Per evitare il peggio, il questore prende finalmente la decisione che poteva essere presa già tre quattro giorni fa: quella cioè di utilizzare la nave militare «San Marco» per cominciare i trasferimenti. Un paio d’ore dopo la decisione diventa operativa. Cinquecento tunisini vengono prelevati dal porto grande, trasferiti dall’altra parte del molo e imbarcati verso la terra ferma. Destinazion, presunta Napoli. Tutti gli altri restano a Lampedusa per un’altra notte ancora. Meteo permettendo, partiranno oggi. E la protesta al porto vecchio è di nuovo alle stelle.
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