Pasticcio libico, febbre padana

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E per una volta (mi capita di rado) devo dare ragione a Berlusconi. Che la politica estera del nostro premier sia dilettantesca è comune opinione dell’Occidente che conta. Però il nostro premier non è stupido. Ne combina di tutti i colori, ma è intelligente. È chiaro che a Berlusconi la ribellione in Libia contro il suo molto corteggiato e baciato (sulla mano) Gheddafi, è andata di traverso, e molto. Gheddafi era, per noi, petrolio assicurato e anche un guardiano che poteva socchiudere, invece di spalancare, i cancelli dell’immigrazione clandestina degli africani. Lampedusa è vicina, la Spagna e la Francia sono lontane; e quindi noi siamo i più esposti. All’inizio Berlusconi ha temporeggiato. Non poteva rompere con Francia, Inghilterra e Stati Uniti né sconfessare una delibera delle Nazioni Unite. Così ha inventato la ingegnosa formula degli aerei da guerra che volano ma non sparano. Sperando in cuor suo (immagino) che il Colonnello domasse la ribellione in fretta, e così contando di ripresentarsi a lui a Tripoli come la persona che, frenando gli altri, lo aveva salvato. Ma poi, passa un giorno passa l’altro, si è accorto che non poteva fare un doppio gioco, o un gioco su due fronti, più di tanto. Ha anche capito, immagino, che ormai Gheddafi non lo avrebbe perdonato in nessun caso, e che la sua ovvia vendetta sarebbe stata di negarci il petrolio e di inondarci di migranti. E così, obtorto collo, ha capito che si doveva schierare, e che la cacciata di Gheddafi era diventata un vitale interesse anche per lui. Ora Berlusconi si batte il petto e ammette di aver sbagliato nel lasciare Bossi all’oscuro del suo voltafaccia. Ma secondo me non ha sbagliato per niente. Sapeva che avvertendo Bossi si sarebbe imbattuto nel suo veto. Dopo aver detto sì al presidente Obama non poteva richiamarlo per dirgli che Bossi non voleva. Molto meglio far finta ex post, a cose fatte, di essere dispiaciuto e di scusarsi. Tanto Bossi sa di aver bisogno di Berlusconi per varare il suo agognato federalismo, così come il Cavaliere sa di aver bisogno di Bossi per restare in sella. Difatti il Senatur ha già  detto che non farà  cadere il governo, anche se al momento i rapporti tra i due restano gelidi. Comunque sia la vicenda mette a nudo quanto sia profondo e purtroppo radicato il «localismo» chiuso della Lega. Niente Europa, niente guerra, niente stranieri, insomma niente di niente. La Lega è come un mulo che s’impunta, e che si impunta sempre. Inoltre, nel frattempo, l’Europa ci ha appena condannati per la legge che considera l’immigrazione clandestina un «reato» . Difatti, e a prescindere da quanta accoglienza l’Italia vorrà  e potrà  dare agli stranieri che fuggono dai loro Paesi, dalla fame o anche dalla tirannide, l’idea del reato non è stata una buona idea, anche perché coinvolge una magistratura bizzarra e già  oberata da troppi carichi e troppi arretrati. Davvero un bel pasticcio.


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