“Invece di scimmiottare Parigi il governo decida una strategia”

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ROMA – Non siamo la Francia, scimmiottare quella nazione è inutile, anzi può essere perfino dannoso. L’idea di salvare i gioielli italiani permettendo alla Cassa depositi e prestiti di entrare con partecipazioni dirette nelle industrie di «rilevante interesse nazionale» non convince Enrico Letta, vicesegretario del Pd. «Non voglio dare giudizi definitivi – precisa – ma ho molte perplessità  in proposito». E’ contrario al fatto che lo Stato possa entrare nelle industria? «Penso che non ci debbano essere investimenti stabili, possibili in ciascuna circostanza, ma è chiaro che ci devono invece essere strumenti che permettano interventi in caso di emergenza muovendosi su obiettivi chiari. Non mi pare sia il caso di questo decreto: la soluzione della Cassa depositi e prestiti sembra una pezza messa lì per risolvere il caso Parmalat». In Francia la soluzione funziona, perché non dovrebbe farlo qui? «Perché noi non siamo la Francia: loro hanno una politica economica d’attacco, noi no. Loro hanno investito 8 miliardi in innovazione e sviluppo, noi abbiamo tagliato i fondi alla scuola e alla ricerca. Scimmiottare i francesi non serve a nulla, anzi rischia di mettere in evidenza i nostri limiti e di dare l’idea di un Paese che si chiude a riccio, ma non sa generare sviluppo». Tremonti ha detto che il vecchio Iri era meglio degli spezzatini di oggi. Condivide? «No, non ho queste nostalgie, i tempi sono completamente cambiati. Non ci serve un nuovo Iri che mette in campo piccoli interventi guidati dalla politica, non aiuterebbe il sistema» Cosa serve secondo lei? «Una politica economica d’attacco». Un esempio concreto? «Scorporo di Snam dall’Eni, fusione con Terna e lancio di un polo italiano delle reti che diventi campione italiano ed europeo». E la Cassa depositi e prestiti? «Le sue funzioni vanno chiarite, nel decreto ci sono troppi elementi di incertezza. Non a caso lo stesso Bassanini, presidente della Cdp, ha chiesto di verificare le attinenze con lo statuto». Lei cosa contesta? «Il fatto che a fare da pilota sia il ministero dell’Economia e non quello dello Sviluppo economico. D’altra parte non lo abbiamo avuto per lungo tempo, non c’è nemmeno quello delle Politiche comunitarie: sono loro che avrebbero dovuto giocare la palla della reciprocità  con i francesi. Mi lascia molto perplesso anche il fatto che questo interventismo improvviso avvenga contemporaneamente alla frenata del governo sulle liberalizzazioni. E poi ho un timore» Quale? «Non posso dimenticare le pretese del vice ministro Castelli di occupare il vertice di una azienda quotata in Borsa nello spregio totale delle norme che regolamentano quei passaggi. Vista la situazione già  vedo il nuovo Iri sottoposto alle pressioni padane».


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