“Riportiamoli in Africa con le navi” Il ministro minaccia l’atto di forza

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ROMA – Il governo ora trema. Berlusconi è preoccupato, la mediazione privata affidata all’amico Tarek Ben Ammar non ha portato a nulla. «Per dieci che se ne riprendono, ne arrivano altri ottocento. Dovrò andare io stesso – annuncia dopo aver parlato alle 16.45 con il premier Beiji Caid Essebsi – per ricordargli il principio “pacta sunt servanda”». «La Tunisia – ha spiegato Bobo Maroni in Consiglio dei ministri – è un buco nero, non si sa con chi parlare. Quando con Frattini siamo andati a Tunisi, venerdì scorso, il ministro dell’Interno ha firmato un accordo sui rimpatri ma ha subito messo le mani avanti: guardate che io fra tre giorni me ne vado e non so chi mi sostituirà ». Il titolare del Viminale è sconfortato. Le Regioni protestano: si sentono ingannate, avevano dato il loro assenso per accogliere i rifugiati e si ritrovano invece a dover ospitare le tendopoli con i clandestini. I ministri del Pdl protestano, soprattutto quelli del Sud: sono furiosi con i leghisti. Insomma, la situazione, a poche settimane dalle amministrative, è sull’orlo del precipizio. Per questo Maroni, nel corso della riunione del governo, si abbandona a uno sfogo personale: «Le autorità  della Tunisia si stanno comportando molto male. L’unica sarebbe ordinare ai traghetti di far rotta direttamente sulla Tunisia, magari scortati da qualche incrociatore della Marina militare. E vediamo se ci impediscono di sbarcarli sulla prima spiaggia che incontriamo». Insomma, è un «atto di forza» quello che Maroni prospetta in Consiglio dei ministri, con tanto di violazione delle acque territoriali della Tunisia, un membro dell’Onu. A stare al racconto dei presenti, il premier annuisce, sembra condividere. Si apre un dibattito, in cui molti sollevano obiezioni. «Siamo una grande democrazia – ricorda Gianni Letta – siamo nel G8, dobbiamo muoverci all’altezza delle nostre responsabilità ». Ma è lo stesso Maroni a chiudere la discussione, dando a se stesso una risposta ancora più sconfortata: «Amici miei, se facessimo davvero così in Tunisia scoppierebbe un’altra rivolta, il fragilissimo governo di transizione sarebbe buttato giù. E allora davvero non ci sarebbero più argini, ci ritroveremmo l’intera Tunisia in Sicilia». Senza andare troppo lontano, è a Roma intanto che scoppia la guerra. La linea di frattura attraversa la maggioranza, con i ministri del Sud che fanno muro contro la Lega e i governatori del Carroccio. Il problema è chi si deve far carico delle tendopoli con i clandestini. Maroni promette che saranno allestite anche al Nord, ma nel Pdl non si fidano. Così il sottosegretario Alfredo Mantovano, pugliese, non ritira le sue dimissioni. «L’unico dato certo – sibila al termine del vertice a palazzo Grazioli con il Cavaliere – è che nel porto di Taranto sbarcheranno 2.300 clandestini destinati alla tendopoli di Manduria e che altri arriveranno a breve in altre tendopoli del sud». Bossi commenta sprezzante: «Mantovano? Peggio per lui». Ma il caso del sottosegretario rischia di diventare la scintilla che dà  fuoco al centrodestra. Con lui si schierano i deputati siciliani e pugliesi del Pdl, oltre ai ministri Alfano e Fitto. Gianni Alemanno, leader della corrente “Nuova Italia” (di cui fa parte Mantovano), riunisce d’urgenza tutti i suoi parlamentari per premere sul Cavaliere. «In un momento di emergenza – ammonisce il sindaco di Roma – gli sforzi devono essere ripartiti in maniera equilibrata nelle diverse aree del paese, senza nessuna sperequazione». Con la sua stessa maggioranza in fibrillazione, Berlusconi lunedì sarà  a Tunisi, insieme a Maroni, per provare a battere i pugni sul tavolo. Porterà  la promessa di aiuti economici, offrirà  motovedette e fuoristrada per pattugliare le coste. Senza tuttavia dare soldi direttamente ai clandestini per convincerli a tornare, come in un primo momento aveva detto Frattini. «Ci sono dei programmi – ha spiegato Maroni al vertice – che sono finanziati al 75% dall’Unione europea attraverso l’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Insomma, gli vengono finanziati progetti per laboratori di artigianato, negozi, microimprese. Dal governo non prendono una lira se non il biglietto del viaggio». Sempre che accettino di ritornare a casa.


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