“Thyssen è un monito per le imprese” ora inchiesta-bis sui falsi testimoni

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TORINO – C’è un messaggio «dai riverberi importanti» dietro le condanne esemplari inflitte alla Thyssen, ed è indirizzato a tutti «gli uomini d’azienda», dirigenti e consiglieri di amministrazione. «Questa sentenza può scuotere e cambiare le coscienze degli imprenditori» ha spiegato ieri il procuratore Raffaele Guariniello. «Da oggi, quando andranno in azienda, devono aver presente che sono loro i responsabili della sicurezza, e se succede qualcosa non sono più protetti da condanne “virtuali” che non verranno mai scontate: ora le condanne sono diventate “reali” e loro rischiano la galera». Ancora visibilmente emozionato per la vittoria ottenuta, il magistrato chiarisce risvolti e novità  del dispositivo. «È nei consigli di amministrazione che si prendono le grandi scelte aziendali e quelle che riguardano la sicurezza: l’obbligo di valutare il rischio è del datore di lavoro, e quindi del cda, e non è delegabile. Gli imprenditori devono sapere cosa può accadere e assumersi la responsabilità  delle loro scelte». Il rischio infatti, oltre al carcere, è quello di rovinare anche economicamente il futuro delle loro stesse aziende con la condanna a sanzioni amministrative pesantissime come quelle inflitte alla Thyssen. «La seconda novità  – ha aggiunto il pm – riguarda la responsabilità  amministrativa dell’azienda. È la prima volta che una ditta viene condannata, e a sanzioni così forti». Oltre al risarcimento di 12 milioni e 900 mila euro dato ai familiari delle vittime, i giudici hanno infatti costretto la Thyssen a pagare nove milioni e mezzo di euro, tra parti civili e spese legali. Il conto salato dell’acciaieria supera quindi i 20 milioni di euro. Il risparmio di poco, 800 mila euro, è costato venti volte tanto, oltre a sette vite umane. «Sarebbe bastato un impianto di rilevazione fumi, anche di quelli che costano poche migliaia di euro, a evitare la tragedia – ha aggiunto il pm Laura Longo – con una procedura d’emergenza diversa, infatti, gli operai non sarebbero stati costretti a intervenire con gli estintori, si sarebbero allontanati dalla linea e non sarebbero stati investiti dalla nuvola di fuoco e olio bollente che li ha uccisi». «Noi continuiamo a ritenere infondata questa linea d’accusa, ma non siamo stati ascoltati: sembra che nessuno dei nostri argomenti sia stato preso in esame» ha commentato l’avvocato difensore della Thyssen Ezio Audisio, che ha definito la sentenza «esageratamente punitiva». Una tesi condivisa anche in Umbria. Sono proprio le pesanti condanne amministrative a creare, a Terni, timori di chiusura dell’unico stabilimento Thyssenkrupp rimasto in Italia. «Bisogna evitare che all’ingiustizia della tragedia accaduta ai sette operai e ai loro familiari se ne sommi un’altra per migliaia di lavoratori» è stato il commento del sindaco Leopoldo Di Girolamo che ha sottolineato l’importanza dell’acciaieria come «motore di sviluppo» per la città  e l’intera regione. «Abbiamo paura che questa sentenza si ritorca contro di noi» hanno detto anche gli operai fuori dalla Thyssen. Nonostante la sentenza emessa, Guariniello continuerà  ad indagare sull’acciaieria. La corte ha infatti disposto, in coda al dispositivo, “la trasmissione degli atti alla procura”: verrà  iscritto nel registro degli indagati anche l’ingegnere Berardino Queto, il consulente della difesa che aveva redatto il documento di valutazione del rischio, per omicidio colposo e omissione di cautele. Ma non solo: i pm indagheranno anche su 4 funzionari dello Spresal che avvertivano l’azienda prima dei sopralluoghi, e su una decina di falsi testimoni. Durante il processo erano stati avvicinati per raccontare in aula una versione “addolcita” sulle condizioni di lavoro dello stabilimento.


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