“Uccidi il boero”, alla sbarra un leader Anc gli eredi di Mandela accusati di razzismo

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Ci aveva provato Bono, due mesi fa in Sudafrica per un concerto, a difendere Julius Malema dicendo che Shoot the boer (“Spara ai boeri”, la parola afrikaans con cui vengono chiamati i proprietari terrieri bianchi) è un vecchio canto di rivolta. Ma, aveva aggiunto, «è ormai passato di moda». Il canto zulu andava per la maggiore negli ultimi anni dell’Apartheid, era una sorta di ballo ipnotico per caricarsi, ma ora è sotto processo. O meglio lo è Malema, controverso leader del movimento giovanile dell’African National Congress (Anc), uno degli eredi politici di Nelson Mandela, quello che si deve difendere in tribunale dall’accusa di “razzismo” per aver cantato l’anno scorso quello che una volta era uno degli inni della lotta dei neri del Sudafrica contro il dominio dei bianchi. AfriForum, un’organizzazione di boeri, l’aveva presa male e aveva chiesto inutilmente le scuse da Juju, come viene spesso chiamato Malema. Malema è un capopopolo. Vicino a lui, nelle udienze del processo iniziato all’inizio della scorsa settimana, c’è sempre Winnie Madikizela, l’ex moglie di Mandela, la “pasionaria”, insieme a Gwede Mantashe, segretario generale dell’Anc. E intorno, le guardie del corpo armate di fucili da precisione per difendere quel ragazzone di trent’anni, per qualcuno un possibile presidente del Sudafrica che verrà . Da una parte, quel canto “razzista” potrebbe stroncare la vita politica di Julius Malema. Dall’altra, però, le sue quotazioni potrebbero pure schizzare in alto. «Io lotto per l’emancipazione sociale ed economica dei neri», ha detto in tribunale. Vestito sempre a metà  tra un gangster e uno sfruttatore, amante dello champagne, una casa a Sandton sulle colline più esclusive di Johannesburg, istruzione lasciata presto per la politica, senza padre con una madre che faceva la donna delle pulizie, Juju si era distinto nel Limpopo, la provincia al confine con lo Zimbabwe, come uno dei più agguerriti attivisti per i diritti nei neri. Ha cominciato da piccolo, come pioniere dell’Anc, staccando i manifesti del vecchio National Party. Poi è arrivato alla testa dell’Unione studentesca, quindi l’approdo a Johannesburg e nel 2008 l’elezione a presidente dei giovani dell’Anc. È molto furbo e sa come muovere la folla. Le sue frasi sono brevi, essenziali, anche perché il suo vocabolario è quello che è, parole sempre pronte per un titolo di giornale o in tv per fare rumore. Con i giornalisti il conto è aperto. Jonah Fisher della Bbc, per dire, fu insultato e cacciato fuori durante una conferenza stampa: «Spia, bastardo. Va via di qua», lo aveva apostrofato Malema. Uscito dal tribunale il primo giorno ha spiegato subito che «è la rivoluzione alla sbarra». Nell’Anc prefigurato da Nelson Mandela pochi si salvano. È diventato, si dice, un partito di affaristi e corrotti e Malema ci sguazza dentro. «Un bullo», ha detto tempo fa Max du Preez, editorialista, scrittore e afrikaner progressista, rincarando: «Fa paura e più fa paura, più diventa forte». Ma se si guarda ai giovani, disoccupati, senza casa né lavoro, è istintivo che si pensi a Malema come eroe. Le sue gaffe sono all’ordine del giorno e, dalla sua proposta di nazionalizzare le miniere alla sua campagna contro Twitter, ci si potrebbe scrivere su un libro. Il presidente sudafricano Jacob Zuma per due o tre anni l’ha tenuto al guinzaglio come un bambino capriccioso, ma Juju si è emancipato. Le sue frequentazioni vanno dal re dei locali notturni Kenny Kunene, amante di Porsche, sushi e Lamborghini, a Robert Mugabe, dittatore dello Zimbabwe che tutti i sudafricani odiano. Non è questione di “Spara ai boeri” o “Bacia i boeri”, come lui stesso ha cantato facendone il verso. Il palco del tribunale dove adesso è imputato per razzismo è infatti perfetto per lanciare messaggi radicali e tenere insieme una società  dove la distanza tra povertà  e ricchezza è sempre più abissale.


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