Se la guerra diventa «cultura della difesa»

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Mentre l’Italia partecipa alla guerra in Libia, la quinta in due decenni (dopo Golfo persico, Balcani, Afghanistan, Iraq), arriva in Senato – già  approvata dalla Camera – la proposta di legge «per la promozione e la diffusione della cultura della difesa». La frase d’obbligo aggiunta al titolo – «attraverso la pace e la solidarietà » – non cambia la sostanza: tutte le guerre ormai sono di «peacekeeping» e «umanitarie». Finalità  della legge è «rendere consapevoli i cittadini delle politiche di sicurezza e di difesa della nazione e dell’azione delle Forze armate» e far sì che «le amministrazioni pubbliche promuovano iniziative sui temi oggetto della cultura della difesa», soprattutto nelle scuole nell’ambito della «Giornata del ricordo dei caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace» (12 novembre). A tal fine si istituisce presso il Ministero della difesa, il «Comitato per la cultura della difesa».
La legge, dal 30 marzo in esame alla commissione difesa del Senato, è frutto di una larga intesa multipartisan (Pd, Idv, Pdl, Lega). Come ha sottolineato l’on. Federica Mogherini Rebesani (Pd) il 7 marzo alla Camera, essa offre «l’opportunità  di colmare un’apparente, grave e fittizia contrapposizione tra la cultura della difesa e la cultura della pace e della solidarietà , di superare un luogo comune che vuole contrapporre il mondo e l’azione militare oggi a quello che per semplificazione chiamiamo pacifismo». Non hanno superato il «luogo comune» quei pacifisti «semplificati» che sono oggi in piazza contro la guerra.


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