Tra il premier e Maroni è grande gelo ma Bossi dice sì ai permessi temporanei

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TUNISI – Dopo fallimento della missione di ieri in Tunisia, che avrebbe dovuto portare a un accordo «nero su bianco» per i rimpatri, il rinculo dentro la maggioranza è enorme. Scende il gelo tra il Cavaliere e il ministro dell’Interno mentre Umberto Bossi, ospite di Berlusconi a cena, minaccia di far saltare il governo nel caso non si trovi una soluzione «chiara e immediata» al problema dei clandestini. Da palazzo Grazioli filtra invece tutta l’irritazione del premier nei confronti del ministro dell’Interno, accusato di non aver facilitato il raggiungimento di un’intesa politica con la leadership tunisina. «La Lega – è il ragionamento degli uomini vicini a Berlusconi – non può continuare a essere di lotta e di governo, è ora che ciascuno si assuma le proprie responsabilità  e faccia il proprio dovere». Il premier, dopo oltre due ore di trattativa serrata sotto i mosaici dell’ex palazzo del Bey, è tornato ieri a Roma senza aver ottenuto altro che una generica «disponibilità  a discutere dei rimpatri». Furente, ha preteso che Maroni ci mettesse la faccia, insistendo per farlo tornare oggi stesso a Tunisi. Una trasferta che si potrebbe anche prolungare, se necessario, fino a domani. Nel frattempo gli sherpa italiani (guidati da Rodolfo Ronconi, il direttore centrale della polizia di frontiera) proveranno a convincere i tunisini ad accettare almeno di bloccare nuove partenze. Perché soltanto di questo si tratta, visto che la questione dei rimpatri di massa è stata esclusa dal premier Beji Kaid Essebsi. Il Cavaliere, prima di alzare le mani, ha tentato di tutto, tirando anche in ballo la televisione: «I turisti italiani – ha spiegato a tavola con le autorità  tunisine – quando vedono nei tg queste migliaia di giovani che fuggono dal vostro paese, pensano: ma questi scappano come disperati e noi dobbiamo proprio andare in vacanza lì? Pensateci bene, conviene anche voi fermare un esodo che dà  una brutta immagine della Tunisia». I commensali annuivano, ma quando si è passati a discutere dei numeri dei clandestini da riportare a casa, i tunisini hanno iniziato a fare melina, cambiando discorso. Niente da fare. La delegazione italiana ha dovuto constatare la «fragilità » politica del governo provvisorio, che «non può dare garanzie di sorta – spiega uno dei partecipanti al summit – perché è seduto su un vulcano. Se qualche centinaio di clandestini inscenasse manifestazioni contro di loro per essere stato rimpatriato, il governo probabilmente sarebbe travolto». Insomma, a Tunisi la situazione è appesa a un filo. E tuttavia anche Roma le fibrillazioni dovute alla migrazione di massa stanno portando la maggioranza sull’orlo del baratro. Raccontano che il vertice di ieri notte a via del Plebiscito, con il Cavaliere rimasto da solo a fronteggiare l’intero stato maggiore del Carroccio, sia stato molto teso. Bossi è preoccupato per le prossime amministrative e non lascia molti margini alla trattativa diplomatica: «Se si perdono le elezioni si va tutti a casa». Da via Bellerio la parola d’ordine è una soltanto: fuori i clandestini dall’Italia. «La soluzione è blocco delle partenze e rimpatri. La Lega non può accettarne altre, altrimenti salta il governo». Una rigidità  che rende ancora più difficile il lavoro del ministro Maroni, alle prese con l’allestimento dei nuovi centri di raccolta dei clandestini tunisini. Dopo il vertice a palazzo Grazioli la soluzione che emerge – dato il rifiuto della Tunisia a riprendersi in massa i suoi emigranti – è quella di risolvere l’emergenza clandestini concedendo a tutti un permesso temporaneo di soggiorno. Una sanatoria di massa insomma, finora rifiutata dalla Lega, sulla quale Bossi avrebbe infine concesso un sofferto via libera. E intanto 62 parlamentari del Pdl hanno firmato una lettera aperta per chiedere a Berlusconi di redistribuire i clandestini anche nelle regioni guidate dalla Lega, «senza continuare a gravare soltanto sul Sud». Prima firmataria Barbara Saltamartini, vicina al sindaco Alemanno.


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