Un delitto con complici e suggeritori

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Gli islamisti, infatti, hanno seguito le linee dettate da Abu Walid Al Maqdisi, il leader che volevano scambiare con il volontario italiano. Molto ascoltato, l’ideologo ha dispensato consigli attraverso il web e in particolare sul sito vicino al mondo della jihad globale. Un giorno hanno chiesto all’emiro cosa fare con chi non è musulmano ed entra nella terra dell’Islam. Un quesito che riguardava turisti e coloro che vendono prodotti occidentali dai marchi famosi. Al Maqdisi ha replicato che è possibile colpire gli stranieri poiché non sono protetti dalla legge islamica. Quanto alle imprese gestite da «infedeli» vanno considerate come un bottino di guerra. A dire il vero, Abu Walid ha anche suggerito che prima di passare all’azione era opportuno prepararsi: «Aggredire, uccidere o rapire i turisti deve essere condotto da un gruppo che abbia obiettivi chiari e un piano ben studiato…(a guidarlo) persone affidabili, che conoscano la legge islamica, abbiano un’esperienza militare e valutino le conseguenze del loro gesto» . Su quest’ultimo aspetto i tagliagole di Gaza sono stati superficiali— li hanno scoperti subito— oppure hanno interpretato a modo loro i responsi dell’ideologo poi tradotti in fatwa, un decreto religioso da rispettare. Uccidendo Vittorio Arrigoni, i terroristi hanno colpito un simbolo e, al tempo, stesso hanno creato problemi al governo di Hamas. Che poi l’italiano fosse dalla parte dei palestinesi per questi salafiti conta poco. Il suo impegno umanitario era oscurato dall’essere un «infedele» . Non è la prima volta che lo straniero anche quando è neutrale viene tirato dentro in modo strumentale. Quanto ad Hamas la sua iniziale reazione ha ricordato quella dei dittatori arabi davanti alle rivolte: «È un complotto» . Volevano dirottare i sospetti su Israele. Ora si scopre che i killer militavano, allo stesso tempo, nei servizi di sicurezza di Hamas e in un gruppuscolo salafita. Una conferma delle complicità  con i qaedisti e delle tensioni— ala militare contro quella politica— che agitano il movimento.


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Siria, Assad parla in tv ma sul terreno la repressione infuria

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Finalmente si è fatto sentire. Dopo mesi di silenzio il presidente siriano Assad parla in televisione. Per dire che non si dimetterà , che combatte contro i terroristi, che c’è un complotto straniero, che si aprirà  un confronto con le forze nuove emerse in questi mesi. Nulla di nuovo sotto il sole. Il dittatore resta abbarbicato al potere mentre tutto intorno sta mutando. Le elezioni amministrative sono state ulteriormente rimandate al mese di maggio, mentre in marzo si dovrebbe tenere un referendum su una nuova Costituzione. Il presidente sembra anche farsi beffe della Lega araba e della comunità  internazionale.

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