Accordo Fatah-Hamas. Palestina unita, ma senza pace con Israele
HAMAS, da sempre sostenuta dall’Iran e dalla Siria, dal 15 marzo scorso – giorno delle prime manifestazioni a Daraa contro il regime di Assad – si è trovata di fronte a una contraddizione. Fin dall’inizio della rivoluzione tunisina, aveva speso entusiastiche parole di incoraggiamento alla ribellione contro la tirannia, compresa in seguito quella di Mubarak. Ora come potrebbe continuare a stare zitta di fronte alla ribellione del popolo siriano contro Bashar Assad? Il problema è che proprio quest’ultimo, è il suo maggior sostenitore. Assad infatti ha sempre aiutato Hamas a crescere, anche finanziariamente: se Hamas chiedesse la caduta del presidente siriano, perderebbe il suo più fedele alleato nell’area. Rimanendo isolata rispetto all’Anp. Ma la settimana scorsa, i religiosi sunniti hanno chiesto di scegliere: o Assad o la nomenclatura religiosa sunnita. Una scelta obbligata per il movimento islamico anch’esso di confessione sunnita. Abbandonando Assad, e non essendo sufficiente la sola copertura religiosa sunnita, Hamas non ha potuto che ricongiugersi con Fatah, rientrando nei giochi per il governo di un eventuale futuro Stato palestinese. Che potrebbe essere proclamato unilateralmente a settembre, qualora non si dovesse invertire la posizione israeliana a favore dell’ampliamento delle colonie ebraiche in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. “Israele scelga, o la pace o le colonie”, ha detto ieri, dopo la firma del ricongiungimento, il presidente Abu Mazen. Che, per portare avanti il suo progetto di Stato palestinese unilaterale domani vedrà Nicolas Sarkozy all’Eliseo.
IL PRESIDENTE francese sarebbe favorevole a questa soluzione, al contrario della Germania e degli Stati Uniti. Gli Usa continuano a cercare una soluzione condivisa con Israele che però non transige soprattutto sugli insediamenti a Gerusalemme Est che considera “capitale unica e indivisa dello Stato ebraico” al contrario dell’Onu, che non ha accettato l’annessione da parte israeliana della zona orientale della città santa, avvenuta nel 1980. L’amministrazione americana sta cercando di smuovere l’intransigenza israeliana, attraverso i rappresentanti egiziani del dopo Mubarak. Non è un caso che l’accordo si sia firmato al Cairo da dove il ministro degli esteri, Nabil Al Arabi, la settimana scorsa aveva proclamato la riapertura del valico di Rafah con la Striscia di Gaza. E da dove è stata diffusa, anche per bocca di Mohammed ElBaradei, candidato alle presidenziali di settembre, una presa di posizione dura nei confronti di Israele qualora dovesse colpire la Striscia. Impossibile che gli Usa – tuttora finanziatori dell’esercito egiziano – non siano d’accordo. Mentre i palestinesi si ricongiungono, Israele si divide sulle conseguenze: Netanyahu ha commentato che è un duro colpo al processo di pace. Lieberman, il ministro degli Esteri, invece ha fatto preparare uno studio da cui emerge che la ritrovata unità palestinese potrebbe al contrario giovare alla ripresa dei negoziati. Il punto è che molti cominciano a temere che l’ipotesi di uno Stato palestinese autoproclamato potrebbe diventare realtà . Lasciando insoluto il problema dei coloni.
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