Amnesty: “Tortura in 98 paesi, esecuzioni capitali in 23”

by Sergio Segio | 13 Maggio 2011 13:12

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ROMA – Siamo di fronte a cambiamenti epocali, la richiesta di libertà  e diritti civili è sempre più diffusa ed è arrivata dal basso. Ma di fronte al dilagare dei sommovimenti sociali si sono anche acuite le rappresaglie e le repressioni, in diversi paesi del mondo. Il rapporto annuale di Amnesty International mette in evidenza anche i fatti più recenti, e lo fa con un fascicolo apposito sui primi mesi del 2011, distribuito in aggiunta alla pubblicazione principale, che invece contiene dati e avvenimenti dell’anno precedente raccolti in 157 paesi. Amnesty sottolinea che le sollevazioni in Medio Oriente e Africa del Nord hanno ispirato proteste pacifiche anche in Sudan e Azerbaigian, mentre l’incitazione alla rivoluzione in Cina è circolata sul web. Tuttavia arresti, imprigionamenti e condanne hanno cercato di impedire che in questi paesi continuassero le richieste di maggiori libertà  e diritti civili. Come in Cina, anche in Iran e Azerbaigian i governi stanno cercando di impedire preventivamente proteste e manifestazioni di malcontento.

Particolare accento è stato posto sul ruolo della comunicazione: nuove tecnologie e social media hanno creato scenari prima impensabili: “La tecnologia digitale è stata una finestra sulle lotte che si sono diffuse anche grazie alla velocità  di propagazione di certi messaggi – ha detto Christine Weise, presidente della sezione italiana – abbiamo visto che i social media sono utili per organizzare manifestazioni di protesta e a tessere reti di solidarietà ”. Per questo è stato sottolineato il ruolo e la responsabilità  che hanno alcune aziende: quelle che forniscono accesso a internet, servizi di telefonia mobile, piattaforme per social network e altri supporti alla comunicazione digitale. Gli esponenti di Amnesty hanno esplicitamente sottolineato che queste aziende non devono diventare pedine o complici di governi autoritari che usano questi mezzi per reprimere la libera espressione, o per spiare i loro cittadini.

Amnesty fa inoltre il punto della situazione anche in paesi come Libia, Siria, Yemen, Arabia Saudita e Bahrein, dove ci sono state repressioni a volte anche molto violente e sanguinose. E a proposito di Libia, durante la presentazione del rapporto alla stampa, i relatori hanno dichiarato che “Amnesty non ha preso posizione a favore di un intervento militare in Libia”, ma la richiesta fatta ai governi occidentali è stata piuttosto quella di lavorare a favore di una giustizia che possa neutralizzare i responsabili dei massacri. In seguito, quando l’intervento armato è stato deciso, “Amnesty ha chiesto innanzi tutto di tutelare adeguatamente i civili e il rispetto del diritto umanitario in tutte le sue parti”.

Invece, riguardo al 2010, l’associazione ha contato casi di tortura e maltrattamenti in 98 paesi (erano 111 nel 2009), in 54 paesi si sono registrati processi iniqui (stesso numero nel 2009), la libertà  di espressione è stata illegalmente limitata in 89 paesi (erano 96 nel 2009), in 48 paesi ci sono stati prigionieri di coscienza (48 anche nel 2009), in 23 paesi ci sono state esecuzioni di condanne a morte (18 nel 2009), mentre nuove condanne a morte sono state emesse in 67 paesi (56 nel 2009). In totale due terzi della popolazione mondiale non ha avuto possibilità  di accesso alla giustizia a causa di sistemi giudiziari assenti, corrotti o discriminatori. È stato anche ricordato il dato dei 400 giornalisti imprigionati o minacciati nell’America meridionale. Inoltre l’associazione segnala che lontano dai riflettori e dalle prime pagine internazionali, migliaia di difensori dei diritti umani sono stati minacciati, imprigionati, torturati e uccisi in paesi come Afghanistan, Angola, Brasile, messico, Russia, Turchia e vari altri. E che in Angola, Benin, Camerun e Togo sono state vietate manifestazioni pacifiche. (Gina Pavone)

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