Bombe cluster: dopo la ratifica del Trattato, l’Italia deve bandirne il finanziamento

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La questione dei finanziamenti alle aziende produttrici di questo tipo di ordigni è stata al centro di discussioni nell’ambito della votazione del disegno di legge sia al Senato che alla Camera, senza però che un articolo specifico su questo punto sia stato incluso nella legge stessa. Un ordine del giorno con indicazioni relative al tema finanziamenti alle imprese ed alla necessità  di elementi di trasparenza sulla relazione annuale alla Presidenza del Consiglio dei Ministri sulle operazioni di commercio di armi da guerra proposto dall’Italia dei Valori è stato votato favorevolmente malgrado il parere contrario espresso dal Governo.

“L’Italia ha ratificato la Convezione, ma crediamo che il nostro Paese abbia perso l’ennesima occasione per procedere su un impianto legislativo che andasse oltre il minimo indispensabile” – dichiara Giuseppe Schiavello, direttore della Campagna italiana contro le mine. “Alcuni aspetti sono stati volontariamente ignorati, malgrado fossero stati sollevati da diversi parlamentari con proposte di emendamenti circoscritti e puntuali, ad esempio la necessità  di proibire il supporto che le banche italiane o altre istituzioni finanziarie possono accordare attraverso strumenti finanziari quali prestiti, mutui, sicav, fondi, ad aziende che continuano a produrre mine o bombe a grappolo in altri Paesi”. C’è da evidenziare però che la legge di ratifica, nel suo articolo 7 dedicato alle sanzioni, fa esplicito riferimento all’assistenza «anche finanziaria» come motivo di perseguibilità  penale e che , per logica, da questo non possano essere esenti le istituzioni finanziare pubbliche e private” – conclude Schiavello.

Si tratta di una questione non secondaria se si pensa che nel mondo sono almeno 166 le istituzioni private e pubbliche di 15 Paesi diversi che continuano ad investire in aziende che producono cluster bombs: dall’adozione della Convenzione per la messa al bando delle cluster adottata nel maggio 2008, ben 39 miliardi di dollari sono stati investiti in compagnie che ancora producono queste armi. Lo ha rivelato la ricerca presentata ieri a Brussels dal titolo Worldwide Investments in Cluster Munitions: A Shared Responsibility (in .pdf), realizzato da IKV Pax Christi e NetWerk Vlaanderen associazioni che fanno parte della Coalizione internazionale contro le cluster (CMC).

La ricerca, che aggiorna un analogo studio presentato nel novembre 2009 dalle due associazioni, riporta che la maggior parte (cioè 128 su 166) di queste istituzioni finanziarie che investono in munizioni cluster sono basate in cinque paesi che non hanno ancora aderito alla Convenzione internazionale: si tratta di Cina, Russia, Singapore, Corea del Sud e Stati Uniti, oltre a Taiwan. Tuttavia, anche 38 istituzioni finanziarie di nove paesi che hanno già  aderito alla Convenzione sulle munizioni a grappolo stanno continuando ad investire in aziende produttrici di queste munizioni. I nove paesi sono: Australia, Canada, Francia, Germania, Giappone, Paesi Bassi, Svizzera, Regno Unito e anche l’Italia.

Nel rapporto si legge che 26 istituti finanziari di stati membri dell’Unione Europea stanno tuttora investendo oltre 3 miliardi di dollari in aziende collegate con la produzione di munizioni cluster. Diverse risoluzioni del Parlamento europeo nel 2005, 2007 e 2008 hanno invitato gli stati membri a disinvestire dalla produzione di queste munizioni, ma sin ad ora solo tre paesi dell’UE (il Belgio, Irlanda e Lussemburgo) hanno approvato legislazioni che espressamente proibiscono di investire nello sviluppo e nella produzione di questi ordigni.

Tra i 26 istituti di finanziari di stati membri dell’UE che stanno tuttora investendo in aziende collegate con la produzione di cluster spiccano le francesi BNP Paribas, Crédit Agricole, Natixis e Société Générale, le tedesche Allianz e Deutsche Bank, le britanniche Barclays, HSBC e Royal Bank of Scotland, l’olandese Rabobank e le italiane Intesa Sanpaolo e Italmobiliare (Finter Bank). Secondo il rapporto Banca IMI, parte di Intesa Sanpaolo, è stata uno dei sei dealers che hanno partecipato all’emissione obbligazioni della Lockheed Martin nel maggio del 2010: si tratterebbe di obbligazioni dovute nel 2040 per un valore complessivo di 728,2 milioni di dollari. Esse sono state emesse in cambio di una quota di obbligazioni in essere della società  che matureranno tra il 2016 e 2036.

“Le bombe a grappolo sono state vietate dal diritto internazionale in 108 paesi. Banche leader in Europa, come Deutsche Bank e Royal Bank of Scotland non dovrebbero investire milioni di euro nelle aziende produttrici di queste armi illegali” – ha commentato Roos Boer, di IKV Pax Christi e autrice del rapporto. “Stiamo invitando gli stati membri dell’UE e dei paesi di tutto il mondo a legiferare contro questi investimenti esplosivi” – ha aggiunto. Il rapporto classifica banche commerciali, banche di investimento, società  di gestione del risparmio e delle pensioni pubbliche e private in una negativa “Hall of Shame” (elenco e dettagli) e una positiva “Hall of Fame” (elenco e dettagli in .pdf) in base alle loro pratiche di investimento e alle loro direttive in materia e valuta le iniziative legislative in atto (in .pdf) per vietare gli investimenti nelle munizioni a grappolo.

La Campagna italiana contro le mine non intende comunque mettere nel dimenticatoio la questione della proibizione dei finanziamenti alle ditte che sono coinvolte nello sviluppo e nella produzione di bombe a grappolo. Lo sottolinea la presidente della Campagna, Santina Bianchini, affermando che “inizieremo presto una pressione specifica per chiedere che venga calendarizzato al più presto il disegno di legge presentato al Senato il 25 maggio 2010 su iniziativa della senatrice Silvana Amati (PD) e sottoscritto da molti altri senatori che intende introdurre misure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e submunizioni a grappolo” (DdL 2136 in .pdf).

Si tratterebbe di un passo fondamentale per il nostro paese per contribuire a togliere risorse alla produzione di questo tipo di ordigni che uccidono e mutilano i civili – e soprattutto i bambini – per decenni dopo il loro impiego e che sono già  stati formalmente banditi da 108 paesi. Un passo non impossibile visto che Belgio, Irlanda e Lussemburgo hanno già  approvato leggi che proibiscono di investire nella produzione di questi micidiali ordigni.


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