Bosnia-Erzegovina, ore decisive

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L’uomo, insomma, che la comunità  internazionale ha posto a guardia di quella geometria del surrealismo rappresentata dagli Accordi di Dayton che nel 1995 posero fine al conflitto nella ex-Jugoslavia. Una lunga intervista per il quotidiano di Sarajevo, Dnevni Avaz, in previsione del ventennale della guerra di Bosnia, svela una situazione spinosa che non era un segreto per nessuno.
Ma fa un certo effetto ascoltare le parole di Inzko. “Dopo due anni come Alto Rappresentante, beneficio del più grande sostegno possibile della Comunità  internazionale, il quale potrebbe implicare anche la destituzione di Dodik“. Nel senso di Milorad Dodik, premier della Repubblica Srpska, l’entità  dei serbi di Bosnia che con la Federazione Croato-Musulmana compone la repubblica federale di Bosnia- Erzegovina.

Inzko accusa Dodik di violare gli accordi di pace di Dayton del 1995. I serbo bosniaci vogliono sottoporre a referendum popolare la revisione dei poteri della Corte e della Procura di stato bosniaci, creati dall’Alto rappresentante e competenti per i crimini di guerra residui rispetto quelli trattati dal Tribunale penale internazionale dell’Aja. Per Dodik e i suoi sodali non sono organi indipendenti e hanno evidenti pregiudizi anti-serbi.

“Il nostro obiettivo è cambiare la legge“, ha spiegato Dodik, in un’intervista al settimanale serbo Blic. ”Le alternative sono chiare. Il referendum si terrà  se non vi sarà  conferma che questi provvedimenti inaccettabili siano esclusi dall’ordinamento giuridico. Per noi è sufficiente che l’Europa fornisca le garanzie che le questioni che poniamo siano incluse nell’agenda della Bosnia. Questo dovrebbe metterci in grado di proporre adeguati emendamenti presso il parlamento centrale bosniaco. Se l’Alto rappresentante Inzko deciderà  di annullare il referendum saremmo forzati a riconsiderare il nostro atteggiamento nei confronti del potere e la nostra partecipazione ad esso. Dopo, ogni ulteriore passo in Bosnia sarà  condizionato dalla nostra richiesta di referendum”.

“Tutte le opzioni sono possibili – ha aggiunto Inzko – inclusa la destituzione di Dodik”. Il diplomatico fa riferimento alla possibilità  che la comunità  internazionale, che mantiene una sorta di protettorato sull’ex repubblica jugoslava, decida di annullare il referendum dei serbo bosniaci e dovrebbe esprimersi in merito entro oggi. “Possiamo attendere ancora un giorno o due. Forse decideremo di pazientare qualche giorno in più, ma non vi saranno più rimandi”, ha dichiarato Inzko, auspicando che Banja Luka (capitale della Repubblica Srpska) rinunci autonomamente ad indire la consultazione referendaria.

Il dietro front di Banja Luka non si è fatto attendere. “La Repubblica Srpska ha elaborato una strategia qualunque sia la decisione di Inzko” ha detto oggi Dodik. “Abbiamo avviato dei contatti con Bruxelles e accettato, come segnale di buona volontà , di rimandare il referendum. Se avremo – ha aggiunto – una dichiarazione da un alto e importante rappresentante dell’Ue che le nostre richieste sono giuste e corrette, il referendum non dovrebbe avere più senso”. Il solito gioco di Dodik: un passo avanti, due indietro. A questo punto, però, forse Ue, Usa e gli altri si sono stancati di certi trucchi.

Che avvengono sulla pelle dei cittadini, soffocati da una burocrazia che ricorda le scale di Escher o i tribunali del signor K. Crisi economica, divisioni del Paese in entità  più etno-religiose che politiche, legami con stati ‘terzi’, con un filo identitario che affranca per nulla i croati da pensare a Zegabria, i serbi a Belgrado e i musulmani a essere sempre più nell’orbita turca o di un ottuso nazionalismo.
La società  civile, in questi anni, è l’unica che ha saputo dare segnali di emancipazione dall’assurdo modello ‘etnico’ di Dayton. Ma a quasi venti anni dall’inizio della guerra, non si è stati capaci di costruire un Paese.


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