Caccia ai “serial killer” annidati nell’Inps

by Editore | 23 Maggio 2011 6:39

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L’argomento verteva sul perché l’Italia abbia il maggior numero di controversie in materia civile per abitante di ogni altro Paese (90.000 cause pendono da anni in Cassazione) e i due concordavano sull’esistenza di meccanismi, volutamente azionati, che determinano questa situazione. Da una rapida raccolta d’informazioni, appurai che Mastrapasqua e Salvi, ognuno secondo le proprie competenze e con l’ausilio di un piccolo gruppo di magistrati e funzionari, avevano da qualche tempo cominciato ad indagare sul fenomeno, incrociato i risultati, preso nell’ultimo anno alcune misure di risanamento, giungendo a conclusioni strabilianti. L’enormità  del contenzioso è causata, appunto, da “crimini seriali” contro la PA, messi in atto su scala industriale.

Scorporando i dati globali si è visto, infatti, che solo tre enti (Inps, Inail e Poste) formano più del 50% del contenzioso in materia di lavoro. L’Inps è chiamato in giudizio in un milione di cause pendenti (il 20% del totale del Paese) ma se l’inefficienza che le ha originate in parte risiede nelle lentezze e remissività  dell’ente e della sua avvocatura specifica (ritardi nel riconoscimento delle prestazioni, contestazioni di pochi euro – magari 5 o 10 – sugli ammontari delle stesse, ritardi nella esecuzione delle sentenze, ecc.) la patologia che ha alimentato la proliferazione abnorme non risponde affatto alla domanda di giustizia. La molla che fa scattare il contenzioso è il lucro sulle spese legali che ammontano in media tra 600 e 1000 euro ognuna e gravano sull’Inps per almeno 300milioni all’anno. Il lucro va ad una rete di studi legali, patronati sindacali e parasindacali, funzionari conniventi, concentrati in dieci tribunali del nostro Paese. Il 50% delle cause contro l’Inps riguarda solo 6 sedi. Nell’ordine Foggia, Napoli, Bari, Roma, Lecce e Taranto.
Come nei thriller che si rispettano la scoperta è partita da un primo caso singolo. Un vecchio funzionario onesto di una sede pugliese, scrive al nuovo presidente, denunciando le malversazioni che avvengono nella Regione e che culminano nelle 120.000 cause intentate a Foggia, oltre il 60% del contenzioso nazionale per sostegno al reddito agricolo (i braccianti, sovente “fasulli”, godono della totale copertura previdenziale se provano di aver lavorato almeno 51 giorni l’anno e tutti i 46.000 iscritti a Foggia risultano aver fatto causa all’Inps, anche 4-5 volte a testa per la stessa prestazione, spesso a loro insaputa). Mastrapasqua si precipita sul luogo, rivoluziona gli uffici, mette a capo dell’avvocatura locale una pugnace legale, trasferendola da Cagliari (anche se di recente, per le minacce di morte che le sono arrivate, è stato indotto a farla venire a Roma), stabilisce una stretta collaborazione con la Procura e il Tribunale. Fioccano le denunce, le inchieste, i mandati, i primi arresti. Ben 17.000 cause vengono spontaneamente ritirate. Nel primo trimestre di quest’anno nel confronti dell’anno precedente i ricorsi contro l’Inps sono scesi a Foggia da 26.798 a 2.971! Frattanto l’offensiva si è estesa alle altre province interessate. La “serialità ” risulta in genere specializzata. Se Foggia privilegia l’agricoltura, Napoli si concentra sull’invalidità  civile, ma la modalità  è sempre la stessa: diecine di migliaia di cause in fotocopia per quattro soldi ma con alte spese legali. Il Procuratore generale della Cassazione nella sua relazione annuale ha citato la collaborazione con l’Inps come una vera riforma nei fatti e nei risultati. Chissà  se il Guardasigilli Alfano, in ben altre riforme indaffarato, se ne è accorto?

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