Capolinea per Mladic

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Nel mirino imprigionò l’immagine di un suo conoscente. Mladic lo chiamò al telefono e gli disse: ”Hai cinque minuti per prendere gli album delle fotografie. Poi colpiamo la zona di casa tua”. La Ugresic, citando un profugo bosniaco, sostiene che i profughi si dividono in due categorie: quelli con le fotografie e quelli senza le fotografie. Mladic, in quel modo, faceva dono al suo conoscente di una vita con diritto alla memoria. Perché è la memoria che lui e Radovan Karadzic, il leader politico dei serbo bosniaci, ritenevano il loro peggior nemico. L’ossessione, addirittura, di coloro che nella purezza etnica vedevano uno scopo. La memoria di quello che Sarajevo e la Bosnia rappresentava: una sorta di monumento alla multiculturalità , alle religioni, alle storie condivise.

Oggi, dopo quindici anni, è finita la fuga del ladro di memoria. E’ finita come quella del suo sodale Radovan Karadzic, diversi ma uniti da un destino criminale. Karadzic è stato arrestato il 21 luglio 2008, a Belgrado, mentre prendeva un bus come mille altri. Si faceva chiamare Dragan Dabic, si era rifatto una vita come esperto di medicina alternativa. Il nome era quello di un militare bosniaco caduto in guerra. Perché i ladri di memoria non perdono mai il vizio. Mladic, invece, è stato catturato nel villaggio di Lazarevo, a 80 chilometri a nord-est di Belgrado; si faceva chiamare Milorad Komadic. E’ finita anche per lui. Adesso la corte dell’Aja per i crimini commessi nella ex-Jugoslavia durante la guerra di Bosnia degli anni Novanta giudicherà  anche lui.

Per gli stessi crimini di Karadzic: crimini contro l’umanità , la vita e la salute pubblica, genocidio, gravi violazioni delle convenzioni di Ginevra del 1949, omicidio e violazioni delle norme e delle convenzioni di guerra. Un macigno, più che un’incriminazione. La sua sua lunga latitanza, come quella di Karadzic (svanirono entrambi nel nulla nel 1996, dopo la firma degli Accordi di Dayton) sarà  oggetto di indagini, o forse no. Secondo alcuni, l’allora inviato speciale delle Nazioni Unite, lo statunitense Richard Holbrooke (che è morto il 13 dicembre 2010), promise a Mladic e Karadzic l’impunità  in cambio della loro uscita di scena. In fondo avevano ottenuto l’unico risultato possibile: la nuova Bosnia-Erzegovina sarebbe stata una repubblica mutilata, divisa in una federazione croato-musulmana e in una repubblica serba. Un mostro giuridico e amministrativo, che vive paralizzato come se non fosse mai passato il 1995.

Ma chi era Mladic? Un soldato, prima di tutto. Nulla a che vedere con la formazione del delirante Karadzic, poeta e psichiatra, divenuto politico nella sbornia nazionalista della dissoluzione jugoslava. Nato nel 1942, nella cittadina di Kalinovik, entra a diciotto anni nell’Armata Popolare Jugoslava. Scuola militare Zemun e Accademia Militare KOV, la scuola ufficiali più dura e prestigiosa. Ma non si è mai sentito troppo jugoslavo, lui. Il padre venne ucciso dagli Ustascia, i fascisti croati collaborazionisti di fascisti italiani e nazisti. Mladic si sentiva serbo, prima di tutto.
La morte del maresciallo Tito, nel 1980, dà  il via al processo di disgregazione della Jugoslavia che porterà  ai drammatici conflitti degli anni Novanta.

Bisognava costruire la Serbia del futuro, più grande possibile, inglobando i serbi che vivevano in Croazia e Bosnia. Fu un massacro, anche perché i progetti croati non erano meno aggressivi. La Bosnia ha pagato il prezzo più alto. Mladic ha comandato l’assedio di Sarajevo, il più lungo della storia di Europa. Mladic ha comandato l’assedio di Srebrenica, enclave musulmana che si trovava nel mezzo del percorso tra Belgrado e Banja Luka, i due punti di riferimento della serbità . Il 1995, si avvicinava la fine del conflitto. Non c’era più tempo da perdere.

Sotto gli occhi dei caschi blu dell’Onu, un contingente di olandesi, Mladic riceve l’ordine di fare piazza pulita. Saranno quasi ottomila le vittime di quel massacro, uomini e bambini musulmani. L’Olanda, proprio ieri, aveva ribadito per l’ennesima volta che fino a quando la Serbia non avesse catturato Ratko Mladic non c’era possibilità  per Belgrado di aderire all’Ue. Adesso è finita e anche l’Olanda, per i suoi sensi di colpa, potrà  smettere di truccare la memoria e di rubare il futuro ai serbi che non c’entrano niente.


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