Costa d’Avorio, guerra e speculazione

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Sangue e cacao si mescolano spesso nella storia della Costa d’Avorio. Si sono mischiati anche nel capitolo appena conclusosi, quello della crisi elettorale dello scorso novembre, degenerato in un principio di guerra civile, chiusa ufficialmente l’11 aprile dall’arresto – facilitato dai parà  francesi – di Laurent Gbagbo, il presidente che aveva rifiutato di riconoscere la sconfitta e di farsi da parte. Il nuovo capo dello stato, Alassane Ouattara, con l’appoggio determinante e non disinteressato della Francia, si è appena insediato ma già  alcune ombre si allungano sulla sua figura. E’ una storia dai contorni ancora poco nitidi ma che merita di essere raccontata, partendo da un nome: quello di Loà¯c Folloroux. Trentacinque anni, manager e broker, è il capo della divisione Africa di Armajaro Trading Limited, una delle principali società  di brocheraggio, specializzata in alcune commodities, principalmente cacao e caffè. In Costa d’Avorio, Folloroux è praticamente di casa, per due ragioni: la prima, facilmente comprensibile, è che il Paese vanta il 40/50 per cento della produzione mondiale del cacao, il cui mercato vale globalmente circa 5,5 miliardi di dollari. La seconda, meno ovvia, è che sua madre è Dominique Claudine Nouvian, imprenditrice del ramo immobiliare, algerina di nascita, che in seconde nozze ha sposato Alassane Ouattara. Ricapitolando brevemente, il direttore Africa della principale società  che commercia cacao è il figliastro del presidente dello stato leader nella produzione.

La storia a questo punto continua con l’introduzione di un nuovo personaggio, Anthony Ward, l’inglese cofondatore e de facto numero uno di Armajaro, cioè il capo di Folloroux. Si tratta di un broker con una lunga esperienza, che ha iniziato la sua carriera come campionatore di thé per una società  malese, per poi darsi a caffè e cacao. Dopo una carriera fulminea al servizio di due importanti società  del settore (e.T Hutton e Phibro), nel 1998 si mette in proprio in proprio. Nell’ambiente se ne parla con un misto di ammirazione e disgusto. La stampa britannica scrive che, nel fare affari, i suoi modi sono bullish, da bullo. E’ un trader spregiudicato, abile speculatore. Con la stessa sufficienza tratta anche giganti come Cadbury e Nestle, che per quanto decidano gli ordinativi di cacao con anni di anticipo, guardano sempre con apprensione ai giochi speculativi. Perché alla Nyse Liffe (London International Financial Futures Exchange) di Londra, la borsa presso la quale vengono negoziati i titoli del cacao, diversamente da quanto accade negli Stati Uniti non c’è un limite alle quantità  scambiate. Inoltre, la maggior parte delle contrattazioni sono virtuali, cioè non comportano una reale movimentazione di merci. L’anno scorso, ad esempio, sono stati scambiati titoli per 60 milioni di tonnellate di cacao, quando la produzione media annua mondiale non supera i tre milioni. I margini di profitto sono enormi. Ward lo sa bene, visto che ha accumulato un capitale che le riviste specializzate stimano intorno ai 36 milioni di sterline. Ma, oltre all’assenza di scrupoli, è noto anche per la preparazione: è un analista che non lascia nulla al caso. In Costa d’Avorio conta su stazioni metereologiche e un esercito che tiene monitorati porti e piantagioni. E’ in grado di sapere quante fave di cacao vengono raccolte nel Paese, dove e quando.

Lo scorso luglio Ward dà  il via ad un’operazione magistrale. Gestisce l’acquisto di cinquecentomila tonnellate di cacao. Ai trader e agli industriali del cioccolato si ghiaccia il sangue nelle vene, perché capiscono la portata di un’operazione speculativa di queste dimensioni. In principio, però pensano che Armajaro stia giocando con cacao invisibile; è quindi enorme la sorpresa quando scoprono che Ward ha importato 241 mila tonnellate (la più grande transazione fisica dal 1996), il sette per cento della produzione mondiale, praticamente tutto il cacao stoccato in Europa nei porti di Amburgo, Liverpool, Londra e Rotterdam, per il quale sborsa 750 milioni di euro. Sul mercato, la reazione è istantanea, il prezzo del prodotto sale di uno 0,7 per cento, toccando le 2,732 sterline a tonnellata (il prezzo più alto dal 1977, ndr) ma dopo poco comincia a scendere. A fine agosto registra una contrazione del 23 per cento. In Costa d’Avorio il raccolto si annuncia particolarmente buono. “Le condizioni metereologiche sono state ottime”, scrivono gli incaricati delle altre compagnie sul posto e il mercato si “rilassa”. Alcuni analisti commentano, con piacevole sorpresa, l’errore clamoroso di Ward, che a loro dire, aveva scommesso su un raccolto particolarmente povero e su condizioni climatiche avverse. A ottobre, però, la Costa d’Avorio entra in una fase di fibrillazione. A novembre la crisi politica esplode. Poi comincia la guerra, che tra distruzioni e le migliaia di civili uccisi, feriti o sfollati, blocca il processo produttivo del cacao. A febbraio, Ouattara gioca la carta del ban sulle esportazioni di cacao ivoriano, cioé chiede alla comunità  internazionale di non comprarlo,  assestando un ulteriore colpo alle traballanti finanze del regime di Gbagbo, già  strangolato dalle sanzioni Usa e Ue e dalla chiusura del credito da parte della Banca centrale degli stati dell’Africa occidentale. Il ciclo del cacao salta definitivamente, la produzione precipita. Il raccolto fantastico che ci si aspettava non ci sarà  mai e il prezzo del prodotto s’impenna. Le stime degli analisti prevedono una forte contrazione per l’annata 2011/2012. Ward ha vinto. Aveva fatto lo stesso gioco nel 2002, all’alba di un’altra guerra civile in Costa d’Avorio, avente pressappoco gli stessi protagonisti. Allora registrò un profitto di circa 60 milioni di euro. Quanto guadagnerà  questa volta? Ai giochi della finanza, che molto spesso hanno comportato un impoverimento netto delle popolazioni che (soprav)vivono grazie all’export del cacao, si aggiunge un’ulteriore sospetto. Che i guerriglieri del primo ministro Guillaume Soro e del presidente Ouattara, cioè la Forces Nouvelles in un primo tempo, poi rinominate Forces Republicaines de Cote d’Ivoire, nel conquistare il sud del Paese abbiano deliberatamente ucciso i proprietari delle principali piantagioni, quasi tutti appartenenti all’etnia di Gbagbo, i Bèté. La pulizia etnica al contrario avrebbe coperto una deliberata espropriazione delle terre e del cacao, il principale motore economico del Paese. Ombre e sospetti, per ora, che confermano però che questo nuovo capitolo della cacao connection ivoriana è tutto da scrivere.


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