Crisi del debito. L’uomo propone, il mercato dispone

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Un tempo era consuetudine che soltanto i paesi meno sviluppati fossero soggetti al potere dei capricciosi “mercati internazionali”. Esempio famoso è stato quello del 2003, quando il nuovo governo brasiliano di Luiz Inà¡cio Lula da Silva dovette temporaneamente accantonare la propria missione sociale e democratica e fare ciò che era necessario perché gli operatori riportassero sotto controllo il prezzo dei titoli del paese.

Adesso invece l’imprevedibile forza del mercato si avverte anche nelle aree più ricche del pianeta. Il governo greco e i funzionari della zona euro sono appena giunti alla conclusione che il bailout messo a punto un anno fa non sta sortendo risultati. In altri termini, non ha consentito alla Grecia di rientrare nei mercati. L’esito del primo di tre bailout non lascia presagire nulla di buono per i pacchetti a favore di Portogallo e Irlanda.

A innescare la crisi sono state soprattutto le fluttuazioni dei mercati, che ora minacciano di provocarne altre. Ormai stiamo imparando tutti ciò che i paesi più poveri sanno da tempo: a determinare quali decisioni siano disponibili ai governi democratici sono in buona parte gli investitori internazionali. Queste deliberazioni sono tutt’altro che razionali. Diventa pressoché impossibile sapere che cosa funzionerà , e quanti e quali sacrifici saranno necessari per scongiurare il disastro.

La lezione da imparare non è che i governi dovrebbero tenere i conti di casa propria in perfetto ordine, perché così deve essere da sempre. La lezione è che ciò che valuta se casa tua sia in ordine o meno dal punto di vista finanziario è un insieme di bizzarrie e pettegolezzi che i trader sfruttano per guadagnare il più possibile.

All’apparenza, ciò sembra abbastanza chiaro. C’è gente che presta ai nostri governi una grossa quantità  di soldi, prendendo in considerazione il rischio di non ottenere la restituzione della somma fissata. Ma non è detto che le cose vadano sempre così. La ragione per la quale i prezzi cambiano così spesso è che si spostano grosse cifre di denaro per sfruttare i vantaggi offerti dai costanti movimenti del mercato stesso. Così la solidità  della politica di governo sfuma in secondo piano.

Volendo parafrasare la celebre formula di Keynes, prendere decisioni in questo modo è un po’ come guardare le fotografie di cento persone e sentirsi chiedere di scegliere chi siano i preferiti in base a quanto risultano fisicamente attraenti. Ma l’obiettivo non è questo, bensì stilare l’elenco in base a quello che si presume che gli altri faranno con le medesime fotografie. In una circostanza simile, molto rapidamente subentrano il pensiero di gruppo e il potere delle dicerie, e la valutazione indipendente passa in secondo piano.

Il risultato è che mercati instabili e volubili equivale a dire bersagli mobili per i governi che cercano di determinare che cosa sia accettabile per le persone che di fatto li possiedono. Da qui il balletto assillante con cui il governo cerca di inviare i “segnali” giusti – e i segnali migliori di norma sono la disponibilità  a tagliare le spese o aumentare i tassi di interesse – mentre le migliaia di persone che formano “il mercato” decidono che cosa possano significare.

Niente è eterno

Se questo sembra un modo piuttosto folle di portare avanti la civiltà  umana (se davvero siamo noi umani a comandare) che possiamo farci? Ora come ora, a livello nazionale, praticamente nulla. A meno di non accettare il default, non si può esigere la fine dei tagli. Si può solo chiedere che si aumentino invece le tasse. I governi devono indovinare cosa soddisferà  gli investitori o porterà  a una “crisi di fiducia”. Purtroppo queste sono le regole del gioco.

Sul lungo periodo, però, le attuali regole dell’economia internazionale non sono più naturali o inevitabili del regime del gold standard e dei controlli di capitale che li hanno preceduti appena 40 anni fa, né di qualsiasi altro sistema nella storia.

Dopo la crisi del 2008 è tornata in primo piano la necessità  di una governance globale per i mercati globali, una “Nuova Bretton Woods” in grado di ridurre l’instabilità . Certo, non ci sono soluzioni semplici, e non è verosimile che le grandi potenze si accordino su queste faccende in tempi brevi. Ma non per questo possiamo rinunciare ad affrontare la questione. Nessuno si è accorto che nel mondo arabo si andavano preparando le attuali crisi, ma sarebbe stato meglio prestare attenzione ai problemi prima che scoppiassero i moti di piazza.

I governi occidentali sono molto impegnati al momento: stanno cercando di salvare l’Ue e di mantenere l’autorevolezza degli Usa. Per valutare se avranno o meno successo non bisognerà  guardare ai loro risultati, bensì ai bigliettini che si scambieranno i trader. (traduzione di Anna Bissanti)


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Un audit sul debito pubblico

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Noi vogliamo fare nostra la proposta che ha già  raccolto decine di migliaia di adesioni in Francia (tra i promotori Susan George, Francois Chesnais, Etienne Balibar, consultabile su www.audit-citoyen.org, e rilanciata in Italia dalla campagna Rivolta il debito) di una commissione in grado di visionare il debito pubblico, come è è contratto, a favore di chi e di quali interessi.

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