Gli ammutinati del Rex

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Saremo serviti a tavola come dei signori. Primi passeggeri in assoluto, anche se su una nave ferma e solo per poche ore. E come facciamo sempre quando una nave costruita da noi prende il largo, diremo ai nostri figli: vedi, questa suite l’ho montata io, questa cucina l’ha progettata Michele… Insomma, questa è una nave “nostra” e girerà  gli oceani con la targa: “Fincanteri-Sestri Ponente”». Hanno le mani robuste di chi è abituato a piegare e saldare lamiere, gli operai che costruiscono le navi. Hanno volti tesi perché l’altro giorno, tornando a casa, hanno dovuto dire a mogli e figli che «a Roma hanno deciso che il cantiere chiude e ci mandano tutti a casa».
Ci sono stati scontri e manganellate, martedì, davanti alla prefettura. «Ci sono giorni in cui bisogna mostrare i denti – dice Alessandro Buffo, 39 anni, da nove in Fincantieri – e altri in cui bisogna raccontare le nostre ragioni. Noi avremmo una carta vincente, se potessimo usarla: invitare tutti qui, fare vedere le nostre officine e i nostri bacini e mostrare a tutti le cose che siamo capaci di fare».
«In un anno, un anno e mezzo, riusciamo a costruire una nave extralusso da 500 milioni di dollari. Gli americani della Cruises ci hanno ordinato la Oceania Marina, l’abbiamo consegnata un anno fa e subito dopo ci hanno commissionato la Oceania Riviera. Vorrà  dire qualcosa, se le navi più lussuose del mondo escono da Sestri Ponente?». C’è afa, davanti al grande stabilimento. I muri delle officine bloccano la brezza del mare. La storia del cantiere è quella della marineria italiana. «Certo – ricordano Giulio Troccoli e Fabio Carbonaro – i nostri nonni hanno costruito il Rex e l’Andrea Doria, i nostri padri la Cristoforo Colombo e la Michelangelo. Ma noi siamo riusciti a mantenere, come dicono i manager, la leadership, a restare i migliori. Questo perché non si lavora come automi. Un cantiere è come una città , tutti hanno la loro specializzazione e debbono dare il meglio. Qui ci sono 410 operai e 350 impiegati, ma questi ultimi in gran parte non stanno in ufficio: hanno una tuta marrone, sono tecnici che dirigono i settori e i reparti, sono tutti diplomati o laureati».
Il suono delle sirene e il Gran pavese del Rex, in Amarcord, sono rimasti nella memoria di tanti. Ma il mondo cambia e bisogna stare al passo. Sul mitico Rex c’erano 604 passeggeri di prima classe, 788 fra seconda e turistica, 866 in terza classe. «Oggi quello che è stato il più grande transatlantico italiano non avrebbe mercato. Noi abbiamo costruito le navi per Costa crociere, fra le quali la Costa Pacifica, 3.500 passeggeri e 1.500 persone di equipaggio, navi belle per crociere abbordabili da molte tasche. Negli ultimi anni, però, gli armatori americani ci hanno spiegato che ci sono dei passeggeri speciali, insomma quelli molto ricchi, che non vogliono viaggiare in compagnia di persone meno ricche e per questo sono disposte a spendere dai 5 mila ai 15 mila dollari per una crociera di una o due settimane. Le altre navi sono lasciate a chi spende 800-900 euro ed è contento perché si fa il viaggio sognato da una vita».
Parlano delle “loro” navi extralusso come se raccontassero di un figlio bravo a scuola. «La Marina e la Riviera non hanno cabine ma suite, veri appartamenti di 75-80 metri quadri. Ci sono il salotto, lo studio, la camera da letto. I bagni in marmo, con idromassaggio. Nei saloni decorati d’oro si usano davvero lamine d’oro… Vede, noi siamo qui a parlarle di queste navi da sogno e sappiamo benissimo che per comprare un lavandino in marmo pregiato, di quelli che montiamo in una suite, noi dovremmo impegnare tre o quattro mesi di stipendio. Un operaio guadagna sui 1.200-1.300 euro al mese, un impiegato-tecnico qualche euro in più. Ma raccontiamo queste cose perché vogliamo fare capire una cosa: ce l’abbiamo messa tutta, per fare un prodotto ottimo mandando in vacanza i più ricchi del mondo e accettando stipendi con i quali si fa fatica ad arrivare a fine mese. E adesso ci dicono che possiamo andare a casa, che non serviamo più a nessuno».
Sono tanti i mestieri del cantiere. Carpentiere, montatore scafo, saldatore elettrico, elettricista, maestro d’ascia, marinaio imbragatore, tubista, aggiustatore apparato motore… «E invece adesso, per tutti, arriva una qualifica unica: esubero. È una parola che ci offende e ci umilia. Siamo operai specializzati, lavoriamo ancora come artigiani. Se devi montare un tubo, guardi il disegno e, se vedi che non va bene, non è che smetti di lavorare e aspetti l’ingegnere. Sai fare le cose, metti il tubo come deve essere messo. Il nostro mestiere non si impara in un giorno. Ci sono i colleghi più anziani che insegnano, ti fanno scuola. Nella nave-città  non ci deve essere nemmeno un errore».
Caschi bianchi, con la scritta Fincantieri in blu. Fabio Carbonaro e Gianni Bottaro dicono che persone capaci di lavorare «dalla lamiera alla bottiglia» – le migliaia di lamiere di 12 metri per 3 sono quelle che servono a costruire il guscio della nave, la bottiglia è quella che viene lanciata contro lo scafo il giorno del varo – non possono essere mandati al macero. «Non siamo rimbambiti, lo sappiamo benissimo che c’è la crisi mondiale e che l’Asia porta via i nostri appalti. Adesso abbiamo in bacino solo una nave militare indiana, che serve per i rifornimenti di altre navi ed è armata. Accanto c’è la Riviera, che è in fase di montaggio. Tutti i pezzi sono stati preparati e allora da mesi le officine sembrano un deserto. Nei cortili ci rotolano palle di erba, come nei film western. La crisi c’è ormai da tre anni. Ma in altri Paesi, dopo un 2009 disastroso, l’anno seguente è arrivata la ripresa. Noi lavoratori non siamo rimasti a guardare. Abbiamo detto alla Fincantieri che il cantiere andava rinnovato, perché adesso è spaccato in due dalla ferrovia. In pratica, costruiamo i pezzi nella zona a monte e poi li dobbiamo trasportare, con grande dispendio di risorse, nella parte a mare dove ci sono i bacini. La Fincantieri ha detto: se il governo ci finanzia, potremo fare questo che viene chiamato il ribaltamento. In pratica le officine vanno a fianco dei bacini, così si crea una catena di montaggio. I soldi sono arrivati, non pochi, settanta milioni, e la Fincantieri ha detto: chiudiamo».
Giulio Troccoli, delegato Fiom (ma qui tutti tengono a dire che c’è un’alleanza stretta fra la Cgil, la Uilm e la Fim Cisl, perché «siamo tutti democraticamente e unitariamente incazzati»), lunedì scorso era a Roma, nella sede della Confindustria, quando è stato annunciato l’esubero di 2.551 lavoratori. «Ho chiamato subito il cantiere, ho detto di fare sciopero e di uscire tutti. Martedì ci sono stati gli scontri davanti alla prefettura. C’era troppa tensione, non puoi distruggere in un attimo la vita di tante persone. Noi in prefettura eravamo stati tante volte, ci hanno sempre lasciati entrare nell’atrio mentre una delegazione incontrava il prefetto. Martedì c’era un cordone di poliziotti, ci sono stati sassi e manganellate. Ma non ce l’abbiamo con gli uomini in divisa. Loro sono lavoratori al servizio dell’ordine pubblico, noi lavoratori dell’industria che non vogliono perdere il futuro».
Nel pomeriggio, per quelli che qualcuno già  chiama “gli ammutinati del Rex” un incontro con la Regione. Domani, un altro sciopero di due ore. «Non siamo nati ieri», dicono Giuseppe Gargano della Uilm e Guido Misi della Fim Cisl. «Sappiamo che sarà  dura. Pomigliano? È tutta un’altra storia. Là  Marchionne ha detto: vi tolgo dei diritti per fare più macchine. Gli operai hanno risposto in modo diverso. Qui invece la Fincantieri dice: chiudo e basta. E siamo noi operai a fare proposte, a dire: ragioniamo. La chiusura non è un ragionamento». I commercianti di Genova hanno dato i primi aiuti per la trasferta degli operai a Roma, il 3 giugno, quando ci sarà  l’incontro con il governo. C’è mezza città  che vive attorno a Fincantieri, Ansaldo e porto. Solo per la fabbrica delle navi fino a un anno fa c’erano duemila operai nell’indotto, già  ridotti a mille. Se la battaglia non sarà  vinta, mancheranno troppi stipendi. E anche l’occasione di mettersi il vestito nuovo. «Il varo di una nuova nave è sempre stata una festa della città  – dice Giulio Troccoli -. L’anno scorso sono arrivate anche le Frecce tricolori. Le mogli e le fidanzate avevano il vestito più bello. E il giorno dopo andavano dal droghiere e dicevano: lo sa, il mio uomo lavora alla Fincantieri».


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