Gli indignati, un «contagio» che unisce l’Africa all’Europa

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Nouriel Roubini, il celeberrimo economista che ha predetto la crisi del credito, sostiene che il debito privato, e cioè quello accumulato dalle banche perseguendo una politica del credito scellerata, si è trasformato in debito pubblico. Fin qui siamo tutti d’accordo. Roubini però aggiunge che le politiche perseguite dal Fondo Monetario e dall’Europa Unita per arginare la crisi del debito sovrano stanno trascinando l’Europa lungo una spirale recessiva pericolosissima. La formula dell’austerità  – riduzione della spesa pubblica e dei salari per contenere il debito – in realtà  lo ingigantisce poiché riduce il reddito e quindi il gettito fiscale, il consumo e l’occupazione. E dato che le economie europee sono legate a doppio filo dalla globalizzazione, questa contrazione potrebbe a lungo andare contaminare anche quelle più floride, come la Germania e la Francia. Invece di tirare la cinghia, l’Europa dovrebbe inventarsi un piano di salvataggio dell’economia alla Keynes, un’iniezione massiccia di denaro da far confluire nell’economia reale non in quella virtuale degli hedge funds.
Mancano però in questo nostro mondo futurista, dove la tecnologia viaggia costantemente sulle ali dell’innovazione e del cambiamento, uomini come Keynes, gente che invece di creare l’ennesimo social network concepisca una via d’uscita dalla crisi del debito sovrano. Questa settimana abbiamo scoperto che alla guida di organizzazioni come il Fondo Monetario, concepita a Bretton Woods quale polmone d’acciaio delle economie in crisi, ci sono uomini che abusano dei propri poteri, anche nelle stanze d’albergo. Ed alla guida delle nazioni europee ce ne sono altri che sbandierano la loro (presunta) virilità  quale qualità  prima del proprio genio politico. Roubini non lo dice, ma tra le cause della crisi c’è anche un’eccessiva produzione di testosterone nell’era del viagra. E tanta è l’ebbrezza del potere maschio all’interno del cerchio dei potenti che non si presta attenzione a ciò che avviene al suo esterno, nel mondo.
Lo stesso giorno in cui a New York il capo del Fondo Monetario, Strauss-Khan, aggrediva sessualmente una cameriera in Spagna nasceva il movimento 15 Maggio. A guidarlo sono i cosiddetti indignati, per lo più giovani, appartenenti alla generazione millennium, quella che ha raggiunto la maggiore età  negli ultimi dieci anni, meglio conosciuta come «generazione perduta», perché destinata al precariato ed alla disoccupazione a vita. Non a caso questo movimento europeo, che ha quali antenati i grillini italiani, si è dato una forma pseudo-istituzionale ed ha prodotto un manifesto proprio in Spagna, paese con un tasso di disoccupazione pari al 21,3%, equivalente a quasi 5 milioni di disoccupati, di cui il 40% giovani sotto i 35 anni.
Osservando i nostri figli e nipoti sfilare pacificamente per le strade delle capitali europee o bivaccare nelle piazze, a noi che abbiamo partecipato alla contestazione degli anni Settanta non tornano in mente gli anni in cui indossavamo pantaloni a zampa d’elefante e camicie fiorate, la generazione millennium non discende dai figli dei fiori ma ha legami di sangue con i fratelli della rivolta araba. Il modello infatti è identico: pacifico, niente ideologia e rifiuto di tutta, ma proprio tutta, la classe politica. Il sistema bipartitico, anima delle democrazie occidentali, rema contro la società  civile perché la politica è marcia, questo in sintesi il messaggio del movimento. Come la rivolta araba, quella europea è dunque apolitica, l’elemento coesivo non è l’ideologia di destra o di sinistra, ma il malcontento nei confronti della gestione dell’economia nazionale: caro prezzi, disoccupazione, assenza di opportunità  e di mobilità  sociale, che esclude questi giovani dal sistema di produzione. «A che serve votare se poi non posso mantenermi?», domanda una ragazza disoccupata spagnola di 24 anni, laureata in scienze della comunicazione e che da tre giorni protesta alla Porta del Sol a Madrid. Dal Cairo a Madrid, da Tunisi ad Atene, la narrativa è quella che abbiamo già  ascoltato nelle piazze arabe, come uguale è la radice del malcontento: una prolungata crisi economica ha messo in evidenza le falle del modello economico occidentale in tutto il bacino mediterraneo, un modello incapace di assorbire le nuove generazioni perché ha delocalizzato la produzione altrove. E paradossalmente mentre al sud del mediterraneo i giovani domandano il voto, nel sud d’Europa ne denunciano l’inutilità .
Il contagio del malessere politico si sta sovrapponendo a quello economico creando i presupposti per un’epidemia rivoluzionaria nuova, senza ideologia, né struttura istituzionale, ma ben radicata nella società  civile. Un modello che il movimento Beppe Grillo ha già  sperimentato in Italia con grande successo. E lo stato di diritto europeo, come quello oligarchico arabo, non sa proprio come relazionarsi con questo fenomeno.


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