I leghisti di Hong Kong

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Il governo dell’ex colonia britannica ha da poco deciso di assegnare 6mila dollari locali (poco più di 500 euro) a ciascun residente. Gruppi come “Potere locale” – pare che un’altro abbia raccolto oltre 800mila membri – non vogliono che siano dati a chi arriva dalla Cina continentale.
Nel frattempo, è comparsa su Youtube una canzone, “Il mondo delle locuste” (Huà¡ngchà³ng tiānxià ), che, su un sottofondo mielosamente melodico, ci va giù pesante: “Urlano nei ristoranti, negli hotel, nei negozi”; “Gli piace invadere e occupare la terra di altri”; “Rubano le carte d’identità “; “Vendono prodotti contraffatti” e, naturalmente “Sono come locuste parassitarie”. Ovviamente si sta parlando dei cinesi provenienti dalla terraferma.

 C’è anche chi si oppone: gruppi di attivisti, Ong che favoriscono l’integrazione. L’ex presidente dell’unione degli studenti alla City University ha accusato i gruppi anti-immigrati di razzismo. È stato attaccato come “traditore” e costretto a dimettersi.
Ad aprile, i “difensori di Hong Kong” (così si definiscono gli anti-immigrati) sono scesi in piazza: pochi, circa duecento, ma aggressivi. Tra le rimostranze, c’era quella secondo cui la scarsità  di latte sugli scaffali dei supermercati sia dovuta a quello contaminato dalla melamina in arrivo dal continente. Per non parlare delle donne cinesi che entrano negli ospedali locali per partorire: i manifestanti chiedevano che fosse stabilito un numero chiuso e che le si escludesse dal servizio sanitario.

È finito il tempo in cui i cinesi “dall’altra parte” erano considerati poveri, provinciali e sempliciotti, timidi e soprattutto buffi. Ora, per una parte della popolazione dell’ex colonia britannica, sono locuste distruttrici, parassiti assetati di sangue.
È un fenomeno che in Europa ben conosciamo, che si riproduce spesso quando i muri cadono e i “fratelli” – tanto cari quando girano a largo – si manifestano in tutta la loro fisicità .

Eppure se si guardasse al macro, ci si renderebbe conto che da quando Hong Kong è tornata alla Cina, quattordici anni fa, la sua economia ne ha beneficiato: il boom del Dragone ha portato in alto anche il “Porto Profumato” ed è stata proprio l’integrazione con la terraferma attraverso commercio, turismo e accordi finanziari a garantirgli un atterraggio morbido dopo la crisi globale. Parte dell’enorme liquidità  cinese fluisce inoltre verso le banche e il mercato finanziario locale: basti dire che i depositi in renminbi sono cresciuti del 392 per cento nel solo 2010.

Eppure, sebbene sia una delle economie più floride del mondo, Hong Kong è anche uno dei luoghi più diseguali: secondo il coefficiente Gini, che misura la diseguaglianza distributiva di reddito e di ricchezza, nell’ex colonia britannica le differenze tra ricchi e poveri sono molto più stridenti che in Cina.
Il fatto che questi contrasti siano sempre più sotto gli occhi di tutti genera la caccia all’untore, l’anello debole, nella fattispecie le giovani donne che costituiscono il 73 per cento dell’immigrazione dalla Cina continentale. Sono in gran parte le cosiddette “spose della terraferma“, che con un visto di sola andata arrivano a caccia di un marito benestante. Giunte nel “porto profumato” si trovano di fronte a una realtà  dura: nel 2010, secondo la Hong Kong Women Rights League, l’80 per cento dei casi di violenza domestica è stato denunciato proprio da loro.


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