La giovinezza comunista di una diciottenne borghese

by Editore | 1 Maggio 2011 7:24

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Questo libro di Luciana Castellina, La scoperta del mondo, racconta con ironia e franchezza la storia del loro incontro trasformatosi in amor-passione. Ci sono, a fare da testimoni d’un ménage dal lungo prologo, l’Italia degli anni di guerra e poi la Roma davvero mitica del 1945 e dintorni. Intervengono così nella narrazione, portati dal vento della liberazione, i giovani intellettuali, i pittori fra bohème e impegno, i grandi politici. Ci sono i quartieri alti, i licei chic e c’è la scoperta della realtà  sottoproletaria. Là , nell’inferno delle borgate. E tutto, in questo diario romanzato, si fa racconto con semplicità  e senza i trucchi, senza le reticenze d’una atteggiata innocenza. La narrazione prende avvio il 25 luglio 1943. Luciana quattordicenne, in vacanza a Riccione, sta giocando a tennis con Anna Maria Mussolini. Si, proprio con lei, la figlia del Duce. Residenti a Roma, Luciana e Anna Maria sono state per anni compagne di scuole e si sono ritrovate per caso al mare. Hanno dunque tantissime cose di cui parlare. All’improvviso, però, il loro pigro palleggio viene interrotte. Una guardia dice qualcosa a Anna Maria e lei, scusandosi col dire «devo andare via subito» , sparisce inghiottita da tutto quello che il suo cognome comporta in quelle ore. Storia e cronistoria d’una progressiva rinuncia alla condizione ma non alla cultura borghese, La scoperta del mondo della Castellina inizia non a caso ricostruendo un avvenimento legato al tramonto della dittatura mussoliniana. Il lettore non si aspetti tuttavia d’incontrare nelle pagine che seguono, imbastite tutte su episodi di vita vissuta, tiritere politiche o sofismi ideologici. L’autrice, ormai congedatasi da una storica militanza nella sinistra più intransigente, scrive queste sue pagine godendo d’una scoperta della leggerezza come fuga dal superfluo, come rinuncia alle bellurie e agli indugi ridondanti. È diretta, essenziale. Si avverte nel libro un piacere quasi fisico di ritrovare se stessi, resuscitando momenti cruciali del proprio vissuto giovanile. Non mancano, qua e là , ritratti icastici e pungenti. Così Togliatti che, confrontato maliziosamente a Tito, viene vestito da professore e spogliato almeno in parte del suo carisma. Di Guttuso si legge che «non ha la faccia né del pittore, né del comunista» . C’è poi una bonaria caricatura di Pajetta che, incaricato di ammonire Luciana per essersi comportata con palese indisciplina, le parla di Lenin in termini così severi e dotti da essere per lei incomprensibili. La pagina forse più sofferta? Quella in cui la Castellina ricorda, senza infingimenti, che cosa abbia significato nel 1947 per una diciottenne di buona famiglia iscriversi al Pci. Illuminanti, a coronamento del discorso, una citazione di Cesare Pavese e un’altra di Elio Vittorini. Sul piano letterario il libro si vale di una felice trovata. Luciana Castellina autrice riesce a fare di Luciana Castellina, protagonista in prima persona delle vicende raccontate, un vero e proprio personaggio. In altre parole stabilisce con questa sua omonima un rapporto molto franco e disinvolto, superando felicemente narcisismi, timidezze e scrupoli che non di rado gravano sui protagonisti delle narrazioni d’ispirazione autobiografica.

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