La Guerra Santa per il crocifisso

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 È una versione sconosciuta alla nostra Costituzione e mai recepita dal Parlamento italiano e dalla Corte costituzionale. L’hanno balbettata i giudici, soprattutto amministrativi. Ora l’Europa, la Corte europea dei diritti dell’uomo, ha messo ordine: ha trasformato quella versione in diritto. Nel nostro diritto. C’ è poi la versione di Sergio Luzzatto (Il crocifisso di Stato, Einaudi, pagine 128, e 10). Secondo lo storico, bisogna dire no al crocifisso di Stato per due ragioni, una storica e una socio-politica. La storia del crocifisso di Stato è storia di divisione ed esclusione, di sopraffazione dei più e di umiliazione dei meno. Per Luzzatto, la storia nega al crocifisso quel valore di simbolo univoco e unificante che lo Stato e la Chiesa cattolica rivendicano; la storia smentisce soprattutto la retorica di un’identità  fuori del tempo, dotata, scrive Luzzatto, di «un quid di fisso, di immobile, e di tanto più degno in quanto fisso e in quanto immobile» . Il no dell’autore è anche socio politico. Egli vede nel crocifisso di Stato un’Italia prigioniera del passato e serva nel presente. Un’Italia cinicamente arresa all’eterna compravendita tra ministri e cardinali. In cui i credenti sono ostaggio degli atei devoti di oggi come lo sono stati dei fascisti e dei comunisti di ieri, «uomini senza Dio che cercano un rapporto di dipendenza funzionale con il Papa e con il Vaticano, persuasi che l’Italia si governi solo così: facendosi strumenti tanto fedeli quanto informali dell’augusto inquilino d’Oltretevere» . Senza crocifisso di Stato, ammette l’autore, l’Italia non sarebbe più la stessa. È proprio ciò che egli vuole. Il crocifisso andrebbe tolto non perché così voglia il popolo italiano, ma, scrive Luzzatto, «perchè gli italiani maturassero idee nuove — meno provinciali, più chiare, più generose — su che cosa significano i simboli, soprattutto i simboli che pretendono di essere universali. E perché raggiungessero una visione meno zuccherosa e più razionale, meno retorica e più critica, insomma una visione più seria, dei modi in cui la presenza (e l’invadenza) della Chiesa nella vita collettiva ha condizionato e condiziona la nostra storia» . Non potrebbero esservi due versioni più lontane. I rappresentanti dello Stato e della Chiesa cattolica saltano il passato ed esaltano il bisogno d’identità  del presente; Sergio Luzzatto scava nel passato e grida il bisogno di cambiamento del presente. In entrambe le versioni, l’Italia e gli italiani restano sullo sfondo, silenziosi. Luzzatto li presuppone complici e furbi, come i suoi avversari; o sconfitti e minoritari, come lui. Il governo, gran parte dei partiti e la Chiesa cattolica presuppongono di parlare al loro posto. Chi è contro il crocifisso vorrebbe gli italiani diversi. Chi è a favore, ha timore che lo diventino, che lo siano già  diventati. È proprio così. Dietro tutto ciò, c’è un’Italia sconosciuta e temuta. L’Italia di chi vuole il crocifisso contro gli immigrati e i musulmani; dei cattolici che non lo vogliono nelle mani dei politici; dei credenti di altre religioni e dei non credenti che vorrebbero semplicemente sentirsi a casa propria. L’Italia dei tantissimi che neppure ci fanno caso. E l’Italia di chi pensa che Luzzatto ha ragione, che il crocifisso è stato usato da vescovi e papi, da Mussolini, Togliatti, Licio Gelli, Napolitano e Berlusconi, ma che, proprio per questo, il Cristo in croce può essere oggi un simbolo diverso. Forse, anche il simbolo della rivolta morale e del riscatto.


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