La miopia dei banchieri alla prova dei dividendi

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«Dividendo vo cercando, ch’è sì caro, come sa chi per lui ragione rifiuta»: la parafrasi dell’inferno dantesco è goffa, ma descrive bene la politica dei dividendi delle nostre banche. 
Premessa doverosa: i dividendi sono soldi che l’impresa restituisce agli azionisti. Di per sé, non creano valore perché le attività  dell’impresa si riducono dello stesso ammontare dei dividendi pagati. Ma la politica dei dividendi può creare valore in altri modi. Primo, restituendo agli azionisti la liquidità  in eccesso, quella che resta una volta esaurite tutte le opportunità  di investimento che offrono una redditività  sul capitale adeguata. Se un’impresa può investire in modo altamente profittevole, l’interesse degli azionisti esige che tutte le risorse vengano investite, e che non si distribuiscano dividendi (come fa Apple da anni). Ma se le risorse eccedono le necessità  di investimento, meglio restituire i soldi agli azionisti. Secondo, fornendo un segnale degli utili attesi in futuro, per ancorare le aspettative degli investitori: si spiega così la relativa stabilità  dei dividendi, nonostante le oscillazioni degli profitti.
Di questo, la politica dei dividendi delle banche italiane non sembra tener conto. Così capita che Intesa decida la distribuzione di 1 miliardo di dividendi pochi giorni prima dell’annuncio dell’aumento di 5. Come dire: cari soci, vi prendo i soldi da una tasca, ma in parte ve li rimetto subito nell’altra. Una partita di giro, però, che tra imposte sui dividendi e costi dell’aumento rischia di costare caro agli azionisti. E l’aumento di capitale da 5 miliardi viene dopo che Intesa ne ha pagati quasi 7 di dividendi dall’inizio della crisi, 4 anni fa.
Non è un caso isolato. Nello stesso periodo, Unicredit ha chiesto 7 miliardi di aumenti, dopo averne pagati quasi 5 di dividendi; 1 miliardo l’aumento di Ubi dopo 1,2 di dividendi; 2 miliardi di aumento e 1 di dividendi per Mps. Durante la crisi, dunque, i nostri banchieri hanno distribuito liquidità  ritenendo che fosse in eccesso, per richiederla indietro agli azionisti poco dopo. Scarsa lungimiranza o scarsa comprensione della natura e della portata della crisi?
A giudicare dai piani di Intesa e Mps a corredo degli aumenti, poi, le banche promettono di restituire agli azionisti nei prossimi anni più soldi di quanto ne chiedono ora con l’aumento. Dunque, gli aumenti non servirebbero, se non come doveroso omaggio alle richieste della Banca d’Italia. Le banche ritengono infatti che la redditività  sarà  così elevata da soddisfare le richieste di patrimonializzazione delle autorità , finanziare l’espansione dell’attività , e distribuire dividendi che arriveranno anche al 50% degli utili, e oltre. Livelli di payout mai raggiunti dalle maggiori banche europee (40% la media del decennio). Da dove viene tanto ottimismo? Principalmente da un aumento del margine di interesse, per via della crescita del differenziale tra i tassi applicati, trainati dai rialzi decisi dalla Bce, e un costo della raccolta molto più contenuto. Le banche contano di continuare a collocare presso i risparmiatori grandi quantità  di obbligazioni proprie a rendimenti inferiori a quelli di mercato (come evidenzia uno studio Consob). Ma forse sovrastimano la pazienza degli italiani e la capacità  di un’economia debole di sopportare un forte aumento dei tassi. E sottostimano la concorrenza dello Stato che deve finanziare il proprio debito. 
Inoltre si punta su di un forte aumento delle commissioni (nei piani, +34% complessivamente in 5 anni) e della produttività , grazie a un taglio del costo del lavoro (se era così facile, perché non l’hanno fatto prima?). Anche qui si fa affidamento sulle spalle di risparmiatori e piccole imprese, pur in presenza di prospettive economiche non brillanti, e di un saggio di risparmio in stabile declino. 
Per i banchieri dunque la crisi finanziaria sembra essere solo un episodio che non ha intaccato in modo duraturo la capacità  reddituale del nostro sistema. Se così non fosse, e ci sono molte ragioni per crederlo, l’annunciata politica dei dividendi sarebbe un’altra prova della loro scarsa lungimiranza; o un mero strumento di marketing per addolcire la pillola degli aumenti.

 


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