L’allarme dei Servizi “Il regime è debole ma la ritorsione possibile”

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ROMA – Non c’è traccia di significativa apprensione, né di apparente incertezza nell’analisi con cui il nostro spionaggio militare (Aise) e controspionaggio civile (Aisi) raccolgono e pesano la minaccia agitata dal colonnello Gheddafi. O, almeno, a palazzo Baracchini e in via Lanza, non si fa mostra né dell’una, né dell’altra. La nostra intelligence conosce l’impotenza convenzionale cui è stato ridotto l’arsenale libico e nella promessa di un attacco all’interno dei nostri confini, che potrebbe dunque essere solo «asimmetrico» e avere il segno del Terrore, intuisce il sintomo della disperazione del Rais. Di più: legge la sua scommessa, «tutta politica», di tornare a mettere sotto pressione – nella speranza di farlo saltare – l’anello più fragile della catena Nato, l’Italia, facendo leva sulle divisioni nella maggioranza di Governo. «Gheddafi – chiosa una fonte di vertice dell’Aise – sa che il futuro della Libia è senza di lui. E’ un uomo che ormai vede la sua fine. Le sue forze armate non hanno più alcuna capacità  convenzionale che vada oltre sortite di mezzi corazzati o fanteria d’assalto nei centri urbani. Non hanno più alcun controllo dello spazio aereo, né capacità  di offesa missilistiche. Né di medio, né a maggior ragione di lungo raggio. E, quel che è peggio per il Regime, ormai si è aperto un secondo fronte bellico a Ovest di Tripoli con il passaggio agli insorti delle tribù berbere. Il che suona come l’annuncio di un imminente assedio a tenaglia della capitale». Dunque? «Il colonnello non è uno sciocco – aggiunge la fonte Aise – Sa che la guerra è persa e che per sopravvivergli, per trovare una via di uscita per sé e la sua famiglia, deve avere un interlocutore privilegiato nella catena di comando politica della Nato. E per lui, l’interlocutore migliore può essere un’Italia spaventata dalle sue minacce, belliche ed economiche. Del resto, nel testo del suo discorso ci sono due passaggi chiave. La dichiarata e insistita disponibilità  alla trattativa e l’aggettivo speso per il nostro Presidente del Consiglio, che Gheddafi continua a chiamare “amico”». Insomma, l’Aise vede la strumentalità  della minaccia di scatenare il terrore nelle nostre città , ma non necessariamente la sua attualità . «A meno di non voler parlare del rischio di un atto dimostrativo, questo sì, più concreto. Ma che per Gheddafi significherebbe davvero la fine». A ben vedere, uno scenario non molto diverso da quello che accompagnò la vigilia dell’intervento armato alleato. Quando l’Aisi, il nostro controspionaggio, al netto del rischio legato all’uso del Regime della leva dell’immigrazione, parlò di «minaccia asimmetrica» per il nostro Paese, indicando nelle nostre infrastrutture (aeroporti, porti, stazioni ferroviarie e metropolitane), nelle installazioni militari (caserme), nei luoghi della diplomazia e della cultura (ambasciate, centri culturali, scuole per stranieri) e nei grandi centri commerciali, i possibili obiettivi di una ritorsione libica vestita da «terrorismo di Stato». Anche se oggi, a un mese e mezzo dall’inizio delle operazioni alleate nei cieli libici, quello scenario ha conosciuto una prima verifica. «Per un attacco asimmetrico – spiega una fonte qualificata dell’Aisi – le strade per il Regime sono due. Appoggiarsi alla sua vecchia rete di intelligence in Europa, ovvero ricorrere a professionisti o disperati del Terrore, da comprare al mercato del radicalismo, o in un campo di prigionia nel sud del Paese, quelli dove da anni sono detenuti cittadini africani in attesa di attraversare il Mediterraneo. Ebbene, possiamo dire che, oggi, la prima strada appare non più praticabile». Gli agenti libici accreditati o “sotto copertura” nel nostro Paese sono continuamente monitorati. E nessuno di loro avrebbe dato motivi di preoccupazione. «Di fatto – prosegue la fonte del controspionaggio – la rete di intelligence libica in Europa si è congelata. Molti attendono gli eventi. Altri, come è accaduto a Roma con l’ambasciatore Hafed Gaddur, hanno seguito le indicazioni delle loro sedi diplomatiche che, in buona parte hanno preso le distanze dal Regime, sia pure con sfumature talvolta opache». Il colpo, insomma, se mai dovesse arrivare dovrebbe avere la faccia e le mani ignote di uomini senza storia, scelti o comprati dal Regime. Ma qui, appunto, tornano le parole della fonte dell’Aise. «Minacciare è un cosa. Portare davvero la morte a Roma, Parigi o Londra, è un’altra. Gheddafi conosce perfettamente questa differenza. E sa che una bomba in una grande capitale europea significherebbe scrivere il proprio annientamento».


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