Lampedusa, recuperati tre corpi erano sotto il barcone naufragato

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LAMPEDUSA – Sugli scogli di Punta Cavallo Bianco sciami di mosche assaltano i datteri usciti dalle tasche dei 528 disperati miracolosamente sopravvissuti all’urto del loro barcone sulle rocce del porto di Lampedusa. Li custodivano in sacchetti, nei pantaloni e nei giubbotti, per sopravvivere alla lunga traversata. A bordo erano in 531: domenica, poco prima dell’alba, quando quel barcone senza controllo è finito sugli scogli, tre di loro sono scomparsi tra le onde. Nessuno li aveva visti, nessuno aveva notato che in quell’inferno di donne e bambini, di adulti e soccorritori, tre giovani profughi erano scomparsi.
Li hanno trovati per caso ieri mattina, quando alcuni sommozzatori della guardia costiera hanno scandagliato il fondale dove era adagiato il barcone ancorato con le cime agli scogli. Tentavano di recuperare il guscio di una zattera di salvataggio che era stata lanciata in mare per salvare più gente possibile, e invece hanno visto un corpo incagliato tra quel guscio e la chiglia del barcone. Poi un altro, poi un altro ancora.
Non hanno ancora un nome e un cognome, si sa soltanto che hanno un’età  compresa tra i 20 e i 25 anni. Uno è morto schiacciato dal barcone, gli altri due sono annegati. I loro corpi sono stati trasferiti ieri nella camera mortuaria del cimitero di Lampedusa. La procura di Agrigento – che ha aperto un’inchiesta con le ipotesi di reato di omicidio colposo e naufragio contro ignoti – ha disposto l’esame esterno dei tre cadaveri che oggi dovrebbero essere trasferiti a Porto Empedocle per l’autopsia. Ma i militari della Guardia di finanza, quelli della Guardia costiera e alcuni volontari non hanno nulla da rimproverarsi, hanno fatto il possibile per salvarli tutti, si sono tuffati in acqua tra gli scogli taglienti di Punta Cavalo Bianco, sono saliti a bordo di quel barcone per proteggerli e aiutarli a scendere da quello scafo partito dalla Libia quattro giorni prima.
Nessuno dei sopravvissuti, fino a ieri sera, ha saputo fornire un’indicazione di quei tre morti, nessuno li ha riconosciuti e sa di dove fossero originari. Fantasmi erano e fantasmi rimarranno, come le altre migliaia di disperati che in questi anni e in questi giorni sono finiti in fondo al mare nel Canale di Sicilia o davanti alle coste libiche. Di questi ultimi tre cadaveri resta soltanto la data della loro morte scritta con uno spray rosso sulla fiancata del barcone: “Gdf 114 – 8-5-2011”.
Chi ha salvato tutti gli altri, ora non gioisce più. È sfumata da una vena amara la gioia espressa quando avevano portato centinaia di naufraghi sulla terra ferma. Un’operazione difficile e faticosa, realizzata creando una catena umana a mare e utilizzando funi e ciambelle di salvataggio dopo che quel barcone con il timone che ormai non governava più era finito sulla scogliera.
«Abbiamo fatto tutto il possibile, e quella che per noi era diventata una festa adesso è una giornata di dolore», dice un finanziere che ieri pomeriggio è andato sul luogo della tragedia a vedere quel barcone che ancora ondeggia davanti agli scogli. E l’emergenza potrebbe essere solo all’inizio: «Avevamo previsto 50mila profughi dalla Libia – dice il ministro degli Interni, Roberto Maroni – e ne sono già  sbarcati diecimila: se continua la guerra ci arriveremo presto e dovremo tenerli tutti, ci sono milioni di libici che proveranno a fuggire se il conflitto proseguirà ».


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