L’asse Cina-Pakistan sulla nuova ‘Via della Seta’

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I legami tra Pechino e Islamabad si rafforzano “secondo caratteristiche cinesi”, viaggiano sulle infrastrutture e si corroborano con gli investimenti, fino a rispolverare la formula che ha dato il via al boom del Dragone trent’anni fa: le Zone Economiche Speciali.

Da tempo ormai la Karakoram Highway, che congiunge Pakistan e Cina – l’area di Abbottabad con Kashgar, nello Xinjiang – è l’arteria su cui viaggiano le relazioni tra i due Paesi. Relazioni molto concrete: Pechino investe massicciamente non solo nella regione pachistana di frontiera del Gilgit-Baltistan (“Territori del Nord” in italiano), ma giù lungo tutto il percorso. Sono ormai circa 150 le imprese cinesi che operano in Pakistan per oltre undicimila lavoratori, tra operai e ingegneri, provenienti dal Celeste Impero. Costruiscono infrastrutture, fanno ricerche minerarie, allestiscono reti di telecomunicazioni, centrali elettriche, deviano i corsi d’acqua.

Il progetto più strategico – almeno fino a ieri – è proprio la ristrutturazione della “strada del Karakorum”, che della “highway” ha solo il nome, almeno sul lato pachistano. Pechino, come suo costume, fornisce il pacchetto completo: l’impresa costruttrice, la China Road and Bridge Corporation (Crbc), che nel 2007 ha fatto un accordo con la National Highway Authority (Nha) del Pakistan; gli investimenti, attraverso la Exim Bank, che concede prestiti privilegiati alla Crbc; buona parte della manodopera. La ristrutturazione completa dovrebbe costare poco più di 200 milioni di euro.
Nel frattempo, una joint venture tra le ferrovie pachistane e la Dongfang Electric Corporation sta costruendo la ferrovia che correrà  parallela alla strada, 750 chilometri da Havellian alla frontiera tra i due Paesi, il passo Khunjerab, che è il più alto punto di confine asfaltato al mondo: 4.693 metri. Un record simbolico per una relazione che viaggia sull’intraprendenza.

Compagnie cinesi costruiscono ponti e dighe, altre aprono miniere. China Mobile sta invece lavorando alla copertura telefonica completa del Gilgit-Baltistan: a breve, sarà  probabilmente possibile salutare la mamma dalla cima del Nanga Parbat (8.126 metri).
Il Pakistan, dal canto suo, garantisce tra le altre cose protezione militare alle maestranze cinesi.

Ultima tappa di questo viaggio lungo la Karakoram Highway e capitolo più recente della storia d’amore sino-pachistana è Kashgar, nel cuore dello Xinjiang cinese, uno dei più grandi mercati dell’Asia fin dai tempi della Via della Seta.
Muhammad Amin Yasin, vicedirettore del comitato permanente dell’Assemblea del popolo dello Xinjiang, ha scelto proprio il Pakistan e la casa di un pezzo grosso della locale confindustria – Raza Khan – per annunciare la creazione di “una dello più grandi zone economiche del mondo”, quella di Kashgar appunto. Qui verrà  riprodotto il modello che ha dato il via al boom cinese, debitamente rivisto e corretto alla luce dei tempi.

Trent’anni fa, le facilitazioni fiscali e la deregulation del mercato del lavoro offerte a chi sceglieva di investire a Shenzhen piuttosto che a Xiamen, miravano soprattutto ad attirare capitali stranieri. Adesso la Cina i soldi li ha accumulati nei propri forzieri e la nuova zona economica mira ad altro, ai classici due piccioni con una fava: sviluppare una delle ragioni più arretrate del Paese e stringere legami politici con i vicini d’oltre confine, Pakistan in primis.
Le merci prodotte a Kashgar (che in cinese mandarino si chiama Kashi) viaggeranno verso ovest e sud-ovest sulla Karakoram Highway – novella “Via della Seta” ricostruita dagli stessi cinesi – dove i pachistani potranno instaurare un sistema di pedaggi. Saranno merci a buon mercato, per cui quelle che in Pakistan si fermeranno potranno svolgere in loco lo stesso ruolo disinflattivo che hanno esercitato in Occidente, risollevando il valore reale dei salari locali.
Infine, su sollecitazione della stessa confindustria di Islamabad, la Cina pensa di offrire incentivi e facilitazioni alla comunità  degli affari pachistana per operare all’interno della nuova Zona Economica Speciale.

Tutto torna: legami economici sempre più stretti in quella strategia win-win che è il marchio di fabbrica della recente diplomazia cinese. Arricchirsi è glorioso e politicamente utile.


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