L’ultimo affronto all’ex potente ripudiato dal “club dei ricchi”

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Il branco dei ricchi ha respinto uno dei suoi, ha cacciato l’angelo caduto. Senza processo, senza prove, senza dubbi, la “high society” di Manhattan ha cacciato dal proprio villaggio di marmo e di grattacieli Dominique Strauss-Kahn. Con la ferocia ipocrita che soltanto i potenti riservano ai loro simili feriti, i condomini del residence di lusso dove l’ex direttore dell’Imf sognava di passare la sua prima notte dopo la gabbia gli hanno sbattuto le porte in faccia e lo hanno confinato in un appartamento segreto e temporaneo.

Il viaggio a riveder le stelle dell’angelo caduto era cominciato bene, ieri mattina. E lì si era subito fermato. Via la pesante e ruvida tuta blu anti impiccagione di tessuto grosso a prova di strappi e di arrotolamento nella quale era stato condannato a vivere per cinque giorni, ecco la restituzione del suo abito grigio antracite con la camicia azzurra che tornava a fare di lui un uomo, comprese quelle umili stringhe della scarpe che segnalano il ritorno di un detenuto dall’essere un numero di matricola alla cittadinanza.
Ma le stelle erano ancora lontane e fredde. Dsk, come ormai si è ristretto il nome nel solito acronimo militaresco, era rimasto per ore impigliato in un limbo non più giudiziario, ma pratico. Neppure i 14 mila dollari al mese che la moglie, Ann Sinclair, era pronta spendere per affittare un appartamento da tre stanze da letto nel sontuosissimo residence del Bristol Plaza, sulla 65esima strada davanti al Central Park, accanto al palazzo doveva aveva vissuto per 30 anni Bernie Madoff, erano bastati alle terribili signore che regnano come un Politbjuro sovietico, sui condomini dell’isola di Manhattan. Appena avevano saputo chi c’era dietro il nome della Sinclair, hanno cancellato il lease. È lo stesso mondo autocratico da “Falò della Vanità ” che nel 1975 aveva respinto la domanda di Richard Nixon fresco di Watergate e vent’anni or sono non aveva accettato Susanna Agnelli, troppo famosa, troppo ingombrante.
È stata la società  privata di investigazioni e di sicurezza alla quale il giudice Obus ha affidato gli arresti domiciliari di Strauss-Kahn a risolvere, temporaneamente, l’impasse del rifiuto della “high society”. La Stroz Friedberg, la stessa che aveva sorvegliato e nascosto proprio Bernie Madoff in libertà  dietro cauzione, lo sistemerà  in un alloggio di fortuna sulla Sesta Avenue, nella Lower Manhattan, quasi un purgatorio. Ma questa decisione aveva richiesto l’ok del giudice e una nuova discussione sulla collocazione delle telecamere interne, nuove procedure e firme e documento. Dsk, già  vestito per uscire, aveva atteso per sei ore, nella astanteria del carcere. Soltanto alle 5 del pomeriggio, è uscito.
Sarà  una delle “safe houses”, degli appartamenti segreti dell’agenzia per i clienti che pagano, come pagherà  lui, 200 mila dollari al mese per il privilegio di essere sorvegliato giorno e notte e di indossare una delle cavigliere elettroniche fornite dalla agenzia, a ospitarlo. Il solo vantaggio per l’ex direttore del Fondo Monetario oggi bollato da un invisibile quanto indelebile “lettera scarlatta”, è quello di non avere giornalisti e tv crews che già  si erano accampati fuori dal Bristol Plaza. Una porta dalla quale, comunque, fino al 6 giugno per la nuova udienza preliminare, all’apertura del processo, non potrà  uscire, secondo gli ordini del giudice Obus che giovedì lo aveva avvertito: «Ricordi che posso revocare la libertà  e rimandarla in carcere fino a settembre in qualsiasi momento e per qualsiasi violazione che io consideri tale».
Nulla, neppure il milione di dollari in contanti versato come cauzione restituibile meno spese procedurali o i cinque milioni in altri beni depositati come ulteriore garanzia presso il “bail bondsman”, l’uomo che si assume il deposito e la responsabilità  in cambio del 10% della somma, potrà  essere peggio della gabbia a Riker’s Island. Ma la violenza del rigetto che l’alta società  newyorkese, la più spietata d’America nella propria vanità  discreta, («Non vogliamo pubblicità » ha tagliato corto una delle matrone del Bristol Plaza) gli ha riservato la vertigine del salto nell’abisso dalle vette ai crepacci. È il suo mondo, è la Manhattan che fino a domenica si raccoglieva compunta per ascoltarlo nei congressi e nelle conferenze, che lo ha cacciato.
Ben Branfman, il capo dello studio legale che lo assiste e che gli costerà  non migliaia, ma milioni di dollari, ha scritto per e-mail da Israele, dove si trova, le congratulazione e la certezza della sua innocenza, nonostante la giuria popolare, il Grand Jury abbia confermato la validità  delle imputazioni, mercoledì scorso.
Le notizie che sgocciolano dalla Procura e dagli investigatori della Unità  Speciale per i Reati Sessuali dello Nypd, la polizia di New York, danno il senso della assoluta convinzione della colpa, come sempre fanno gli inquirenti. Si accredita ora l’ipotesi che spiegherebbe anche la difesa di Dsk, quella del «sesso consensuale». Un rapporto fra adulti può cominciare come perfettamente consensuale e poi degenerare in violenza, perché il «sì» di una donna non è un assegno in bianco e in ogni momento lei mantiene il diritto di fermarlo e andarsene.
È possibile che lui, descritto come un fan del sesso «violento» e «brutale» dalle ragazze che lavoravano per l’Empire Escort Service e che poi rifiutarono di “scortarlo”, sia caduto vittima dei suoi istinti più animaleschi, con quella donna? Che tutto sia cominciato consensualmente fino al momento in cui le disse basta e lui non volle fermarsi? Sarebbe comunque stupro, violenza, sequestro di persona, come vogliono gli inquirenti.
Nel sistema giudiziario americano, che in questa prime fasi appare agli europei tanto, troppo spiccio e impudico con il sospettato, e tanto simile alla propria rappresentazione cinematografica, il tavolo della legge tende sempre a pendere dalla parte dell’imputato alla fine del processo, sotto il peso del «ragionevole dubbio». Soltanto le “grandi dame” dei super condomini di lusso hanno già  emesso la loro sentenza senza dubbi. Per loro, sarà  per sempre l’uomo senza le stringhe delle scarpe.

 


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