Mafia e politica, i silenzi del boss Graviano

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Ne ha il diritto, il presidente prende atto e chiede: conosceva Totò Riina, Leoluca Bagarella, Matteo Messina Denaro e gli altri capi di Cosa nostra? «No» , nega sicuro l’uomo d’onore. E Vittorio Mangano, il mafioso ex stalliere nella villa di Berlusconi ad Arcore? «No» . E Marcello Dell’Utri? Giuseppe Graviano trattiene il fiato per un paio di secondi, poi dice: «Mi avvalgo della facoltà  di non rispondere» . Ha mai avuto rapporti con la Fininvest? «Mi avvalgo della facoltà  di non rispondere. Chiedo la gentilezza di non avere domande su tutto ciò che riguarda la politica. Ci sono processi in corso, in cui sono spesso citato, preferisco non rispondere» . È la terza volta che — in pubblico, davanti ai giudici — Giuseppe Graviano ha la possibilità  di smentire il racconto del pentito Gaspare Spatuzza sui presunti accordi con Berlusconi e Dell’Utri, e non lo fa. Decide di tacere. Al processo contro il senatore Dell’Utri condannato per mafia spiegò che se mai dovesse arrivare il momento «sarà  mio dovere informarvi» . E due mesi fa, in un altro dibattimento spiegò: «Su quella vicenda parlerò in un processo, se ci sarà » . Un’occasione poteva essere questa, visto che a Firenze si giudica il mafioso Francesco Tagliavia proprio per le stragi del 1993 nel continente. Ma anche qui il boss sceglie di non rispondere. Senza rimandi espliciti, stavolta. Che cosa significhino questi silenzi lo sa lui e — forse — qualcuno in grado di interpretarli. Ma certo è curioso che un boss del suo calibro, che accusa Spatuzza di mentire su tutti gli altri argomenti per i quali lo chiama in causa, («ha dei motivi per farlo, perché ha combinato cose che non sa spiegare» , dice), quando si passa a certi temi improvvisamente si blocca. Potrebbe dire che non è vero niente, come ha già  fatto e continua a fare suo fratello Filippo. Il quale ribadisce che lui Dell’Utri non l’ha mai conosciuto, né ha mai dato indicazioni per votare Forza Italia. Ma non è a lui che si riferiva Spatuzza quando ha raccontato dell’incontro al bar Doney di via Veneto, a Roma, nel quale Graviano, «felice come un bambino» , gli disse: «Ci siamo messi il Paese nelle mani grazie a Berlusconi e al nostro paesano Dell’Utri» . Era Giuseppe Graviano. Che su questa storia tace, e sul suo ruolo di mafioso e di stragista fa strani discorsi. Quando il presidente della corte gli chiede se è mai stato a capo del mandamento mafioso di Brancaccio, a Palermo, Giuseppe Graviano risponde: «Ho delle sentenze di condanna definitiva e le rispetto. Quando potrò dire cose documentate dimostrerò qual è la realtà » . Il presidente insiste: smentisce o conferma il suo ruolo? «Non posso rispondere, quando avrò la documentazione la presenterò a chi di dovere» . Stesso ritornello sulle stragi: ne sa qualcosa? «Ho la condanna definitiva e la rispetto» . Così parla (e non parla) il boss indicato come il protagonista dell’ultima fase della presunta trattativa fra Stato e mafia, fra il 1992 e il 1994. Mentre il nuovo pentito Fabio Tranchina, che gli fece da autista proprio al tempo delle stragi, ha ripreso a rispondere alle domande dei magistrati che continuano a indagare su quel biennio di bombe e di contatti politici.


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