Una metropoli due borghesie

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Il diavolo sta nei particolari. La borghesia progressista è per «la difesa della Costituzione» ; quella moderata per la sua «riforma» . Ma non sono molti quelli, da una parte e dall’altra, che l’hanno letta, l’hanno capita e sanno perché sono pro ovvero contro. La borghesia moderata è per il mercato; quella progressista per lo Stato sociale. Ma sono una esigua minoranza quelli che, a destra, sanno che cosa sia il mercato e che cosa ne abbiano scritto i classici del liberalismo e, a sinistra, sanno chi era Beveridge e che l’economia sociale di mercato non è una forma di socialismo, ma il mercato i cui esiti sono temperati, ex post, dall’intervento pubblico, là  dove producano effetti «collaterali» dannosi per gli individui. In definitiva, non ci sono due borghesie, distinte per metodologia della conoscenza — empirica ovvero filosofica, non ne parliamo neppure — per cultura politica, individualistica ovvero collettivistica. Ce n’è una sola. Conservatrice. Questa sola constatazione dovrebbe rassicurarci circa gli allarmismi dei rappresentanti di quella di (centro) destra e i propositi multiculturali dei rappresentanti di quella di (centro) sinistra. Non sarà  la costruzione di una moschea ad alterare il profilo sociale di Milano. Saranno gli interessi organizzati— i «poteri forti» — che fanno capo alla borghesia detta «progressista» ovvero a quella detta «moderata» , a seconda che vinca Pisapia o la Moratti. Le due borghesie non contano molto ai fini del risultato elettorale. Contano parecchio «dopo» , quando si tratta di governare le risorse cittadine. Marx chiamava i governi delle democrazie liberali il «Comitato esecutivo della borghesia» . Sarà  tale Comitato— sulla base degli interessi dei suoi componenti — a disegnare il profilo di Milano. Chiunque vinca, i due pallidi candidati sono stati — per dirla ancora con Marx — la «falsa coscienza» di tali interessi. Gli interessi — che da noi sono chiamati con pudico sociologismo «blocco sociale» — non sono una cosa sporca. Ma non devono essere occulti, bensì palesarsi. Il cittadino ha il diritto di sapere cosa guadagnerebbe o cosa perderebbe — più o meno tasse, più o meno servizi pubblici, più o meno mercato, più o meno verde, più o meno smog, più o meno traffico, marciapiedi e strade più o meno puliti, eccetera — a seconda che voti per l’uno o per l’altro dei candidati. La Moratti ha affidato al capo del governo la sua campagna elettorale. È stato un errore. Avrebbe dovuto valorizzare quello che ha fatto — welfare, Expo, estensione della rete dei trasporti con le nuove linee del metrò — e spiegare meglio ciò che intende fare se fosse rieletta. Col «Piano di Governo del Territorio» , si propone di proseguire sulla stessa linea, supplendo alla mancanza di risorse del Comune con il coinvolgimento dei privati, anche nella costruzione di alloggi a costi e affitti bassi: il mercato fa capolino con il principio di sussidiarietà .
Pisapia vorrebbe trasformare l’A2A, la società  per azioni, costituita dalla fusione fra le ex municipalizzate di Milano (Aem) e di Brescia (Asm), in «una protagonista dello sviluppo della green economy (…) attraverso interventi di efficienza nella produzione e nella distribuzione dell’energia e del calore» . Qui, siamo in piena «politica industriale» — coerentemente con la cultura del candidato di (centro) sinistra— cioè all’indirizzo e alla gestione dello sviluppo da parte del Pubblico con finalità  da esso stesso programmate (la green economy). Resta una domanda da fare al candidato di (centro) sinistra: come intende finanziare i suoi interventi di welfare comunale? Nuove tasse non sarebbero una manifestazione di socialità , ma il trasferimento forzoso di reddito da una parte della popolazionme all’altra. I due programmi restano buone quanto generiche intenzioni (anche se sarebbe stato meglio conoscere prima nome e capacità  delle persone in giunta) condannate a essere condizionate dal «dopo elezioni» , quando chi vincerà  farà  inevitabilmente i conti con la propria borghesia di riferimento. Conservatrice dei propri privilegi; come la controparte.


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