2,7 milioni di immigrati iscritti all’Inps: condannati ai lavori umili

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ROMA – Sono 2.727.254 i lavoratori di origine non e neo comunitaria assicurati all’Istituto nazionale di previdenza nel 2007, pari a oltre un ottavo (12,9%) di tutti gli assicurati presso l’Inps (21.108.368). Nove su 10 immigrati sono lavoratori dipendenti (di aziende, di imprenditori agricoli e di famiglie per il lavoro domestico), 1 svolge attivita’ autonoma. Al Nord Italia sono concentrati i lavoratori immigrati dipendenti dalle imprese (quasi 7 su 10), al Centro e’ rilevante e ben superiore alla media la concentrazione degli immigrati occupati nel settore domestico, che qui lavorano in un terzo dei casi, mentre al Mezzogiorno si concentrano soprattutto i lavoratori agricoli (vi sono occupati un quinto degli operai agricoli di origine immigrata).

Sono alcuni dei dati che emergono dallo studio ‘La regolarita’ del lavoro come fattore di integrazione. IV Rapporto sui lavoratori di origine immigrata negli archivi Inps’, presentato a Roma da Inps e Idos – Dossier statistico immigrazione Caritas Migrantes. Il Rapporto analizza la situazione dei lavoratori immigrati di origine non o neo comunitaria sulla base dei dati degli archivi previdenziali gestiti dall’Inps articolati per categorie, per territorio e altre variabili.Il rapporto si occupa anche delle pensioni degli immigrati, che sono 110 mila, secondol’ultimo dato conosciuto. La proiezione per il 2025 e’ che saranno 625 mila. L’incidenza rispetto al totale rimare comunque molto bassa rispetto a quella degli italiani.

“Al di la’ dei diversi modelli di inserimento territoriale – spiegano i curatori -, mentre gli italiani si indirizzano verso i lavori di piu’ alto profilo, gli immigrati sono canalizzati verso i settori deficitari di manodopera per svolgere quelle mansioni che risultano meno appetibili (agricoltura, lavoro domestico, ediliziaà ), al Nord come nel Meridione”. Un andamento che ha caratterizzato inizialmente molti paesi di immigrazione, ma che “in Italia risulta particolarmente accentuato e con una marcata tendenza alla cristallizzazione, per cui anche a distanza di tempo per un migrante e’ difficile riscattarsi da posizioni marginali e mettere a frutto la preparazione pregressa o acquisita on the job”.

L’anno di riferimento dell’indagine e’ il 2007, il periodo immediatamente precedente la crisi economica e occupazionale: “un termine di paragone significativo per valutarne l’impatto”, spiegano gli autori, che aggiungono: “Se per un tempestivo aggiornamento torna utile far riferimento alle indagini campionarie trimestrali dell’Istat sulle forze di lavoro, il Rapporto, per la completezza dei dati, e’ in grado di fornire organiche e preziose informazioni di sistema”.

Gli assicurati Inps di origine immigrata sono stati considerati nella ricerca in base a due criteri: il paese di nascita (dedotto dal codice fiscale) e il versamento di almeno un contributo previdenziale nel corso dell’anno. “Andando al di la’ di una definizione giuridica – spiega il Rapporto – sono quindi considerati immigrati i lavoratori nati in un paese esterno all’Unione Europea a 15, includendo i migranti originari dei 12 nuovi Stati membri, principali protagonisti dei flussi migratori in Italia nell’ultimo decennio”. Va anche considerato – mette in luce ancora il Rapporto – che il codice fiscale attesta la nascita in un dato paese ma non il possesso della relativa cittadinanza, “per cui le posizioni sono sovradimensionate per l’inclusione di un certo numero di cittadini italiani nati all’estero (in particolare nei principali paesi meta, nel passato, dell’emigrazione italiana) mentre, parallelamente, escludono gli stranieri nati in Italia, che ormai cominciano ad inserirsi nel mondo del lavoro.


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