Consob indaga sugli aumenti delle banche

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MILANO – La Consob cerca di arginare l’irrequietudine dei titoli bancari, accendendo un faro sugli speculatori. La crisi sovrana greca e gli alti e bassi congiunturali europei sembrano meri paraventi per negozi e manovre sulle banche di Piazza Affari. Da almeno tre mesi ne soffrono tutte le blue chip bancarie, indebolite dal rischio sovrano, ma molto più da voci e arbitraggi sugli aumenti forzosi per adeguarsi alle norme di Basilea 3.
Ieri (per il secondo giorno) dopo una mattinata da tregenda il comparto ha cambiato di segno, trainando il rimbalzo dell’indice Ftse Mib, salito dell’1,23%. Il movimento si spiega con le ricoperture su un comparto ipervenduto (Ubi, Bpm e Banco popolare hanno perso circa il 35% in sei mesi), e che con voci e scenari non sempre puntuali. Quindi la Commissione di vigilanza ha innalzato il livello di attenzione sui titoli bancari, per prevenire scorrettezze. Una di queste, già  sanzionata dopo l’aumento Seat Pagine Gialle, riguarda il mancato rispetto della consegna dei titoli venduti allo scoperto, tre giorni dopo. Una modalità  per cui si cedono azioni che non si hanno, per guadagnare la differenza data dall’ulteriore ribasso. Ma vanno consegnati i titoli a scadenza, comprati o presi a prestito, altrimenti si risparmiano gli interessi relativi, con un vantaggio su chi rispetta le norme (lo scoperto senza puntuale consegna è vietato in Italia. Malgrado le oscillazioni, ieri il comparto ha finito in gloria: Intesa Sanpaolo +4,5%, Unicredit +4,4%, Banco popolare +4,27%, Ubi +0,71%, ferma Mps.
C’è poi il caso di Bpm, tra le più esposte a voci e manovre, e che ieri ha aperto al decollo dopo un articolo di Finanza & Mercati per cui Bnp Paribas aveva presentato un’offerta sull’istituto. Ipotesi presto smentita da Piazza Meda: «Anche su richiesta Consob, Bpm precisa di non essere a conoscenza di alcuna offerta di Bnp Paribas». Ma il titolo non si è sgonfiato e ha chiuso a +12,19%. Altro segno – si dice in Consob dove si indaga sui fatti – di animosità  speculativa.
Speculazioni a parte, c’è intensa attività  dentro molti istituti. Ubi banca e Popolare dell’Etruria hanno in corso ricapitalizzazioni che chiudono il 24 giugno, Mps inizia lunedì l’aumento da 2,15 miliardi, Bpm in estate ne tenterà  uno da 1,2. La Fondazione locale farà  la sua parte, e resterà  con il 50,3%. «Dobbiamo essere i gelosi custodi di banca Mps», ha detto il suo presidente Gabriello Mancini. «Lo sconto sul prezzo dell’aumento è in linea con il mercato», ha detto il presidente della banca Giuseppe Mussari. Tra gli sforzi che l’ente dovrà  fare per la sua banca c’è pure la possibile vendita (in perdita) dell’1,9% in Mediobanca, che non è più tra le immobilizzazioni. Anche Francesco Caltagirone non mollerà  Mps, di cui è vicepresidente col 4,72%: «Sicuramente non ci diluiremo». È delicata pure la vicenda di Ubi. I cali borsistici, da oltre 20 a 4 euro (minimi storici), tra Bergamo e Brescia fanno soffrire. Giorgio Jannone, azionista e deputato Pdl, ha deciso di creare un’associazione per incalzare i vertici Ubi sulla gestione. «Raccoglieremo almeno il 10%, centinaia di azionisti tra cui molti dipendenti della banca hanno chiesto di aderire dopo i crolli disastrosi». Più placido Giovanni Bazoli, consigliere Ubi: «Il piano industriale potrà  raggiungere gli obiettivi dati e il titolo certamente riprenderà  valore, anche se è difficile prevedere i tempi».

 


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