Crisi, l’85% degli imprenditori immigrati non pensa a chiudere

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VENEZIA – La crisi economica si è fatta sentire anche tra gli imprenditori stranieri, che però non hanno intenzione di farsi piegare. A dirlo sono i 500 intervistati dalla Fondazione Leone Moressa (www.fondazioneleonemoressa.org), nell’ambito di una ricerca sulla salute dell’imprenditoria immigrata in Italia. Da quanto emerso, il contraccolpo della crisi si è sentito di più nelle aree centrali del paese e nel comparto dell’edilizia. A creare i maggiori problemi sono soprattutto la carenza di liquidità  per il ritardo dei pagamenti (27,4%) e l’eccessivo peso burocratico (27,8%).
Un capitolo a parte è quello dell’accesso al credito all’impresa, ritenuto “difficile” dal 12,8% del campione. La maggior parte degli intervistati ha fatto ricorso all’autofinanziamento per la propria attività  (75,6%), mentre solo il 20,5% ha chiesto un prestito alla banca e, tra questi, i soldi sono serviti soprattutto per la fase di avvio dell’impresa (46,3%), per l’acquisto di macchinari (24%), di immobili (11,6%) e mezzi di trasporto (10,7%). Alta la percentuale di imprenditori che non hanno riscontrato differenze di trattamento rispetto agli italiani (78,1%), anche se c’è un 20,7% secondo cui questi ultimi sono più avvantaggiati in termini di condizioni economiche.

Le difficoltà , comunque, non fermano gli imprenditori: l’85,4% non ha alcuna intenzione di mollare, mentre un 10% sarebbe pronto a tornare dipendente. Solo un 3,2% desidera rientrare nel proprio paese di origine, mentre l’1,5% vorrebbe cambiare settore. “L’intenzione di continuare a portare avanti la propria attività  è segno di forte integrazione – commentano i ricercatori della Fondazione – perché l’imprenditore straniero fa progetti di investimento economico e umano di lunga durata, mettendosi in gioco e rischiando in prima persona”.

In generale, gli stranieri puntano sulle microimprese: quasi due su tre sono ditte individuali, mentre un terzo conta meno di 5 persone e solo il 3,4% ha più di 6 lavoratori. Gli immigrati danno lavoro ad altri immigrati: nel 62,9% dei casi il dipendente è un connazionale e nel 20,8% è di altra nazionalità , ma c’è anche un 16,3% che ha alle proprie dipendenze personale italiano. Quasi la metà  degli imprenditori ha avviato l’attività  dopo 5 anni dall’arrivo in Italia. Si tratta perlopiù di persone giovani (il 40,8% ha tra i 31 e i 40 anni), con un livello di istruzione medio-alto (il 32,4% ha il diploma superiore, il 12,8% la laurea), residenti in Italia da più di dieci anni e di origine prevalentemente marocchina (16%), albanese (12,9%) e rumena (11,3%). La motivazioni del lavoro in proprio dipendono in larga parte da una propensione personale all’iniziativa imprenditoriale (52,3%) e da un maggior riconoscimento in termini economici (21,9%). In alcuni casi, però, l’imprenditoria è quasi una scelta dovuta: il 15,9% ha imboccato questa strada perché non trovava lavoro come dipendente (15,9%). (gig)

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