Dall’arte ai film, la grande abbuffata la cultura italiana è diventata business

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E in questo modo l’Italia può riprendere a crescere nella competizione globale, difendendo e magari rafforzando la sua posizione sul mercato internazionale del turismo.

Mentre il governo si appresta a varare una manovra finanziaria da oltre 40 miliardi di euro per ridurre il nostro colossale debito pubblico, rimettere i conti sotto controllo e sfuggire così agli attacchi della speculazione, arriva a proposito una ricerca di Unioncamere e della Fondazione Symbola, di cui è presidente Ermete Realacci, a documentare l’importanza di questo settore. Nel 2010, l’industria culturale italiana ha superato i 68 miliardi di euro, corrispondenti al 4,9% del valore aggiunto complessivamente prodotto dalla nostra economia. Sul piano dell’occupazione, ciò significa 1,4 milioni di addetti, pari al 5,7% del totale (fonte: Istituto Tagliacarne).
La cultura, insomma, non è un lusso né un optional. Si mangia e dà  da mangiare. È un’industria a tutti gli effetti. E “produce” beni e servizi con il marchio “made in Italy” che in questo caso non si possono imitare né tantomeno contraffare.
Il ruolo delle imprese che operano in questo comparto (e cioè le industrie culturali in senso stretto e quelle creative; le attività  legate al patrimonio storico, artistico e architettonico; quelle di performing arts e arti visive) appare ancora più rilevante in base al suo andamento dinamico, con particolare riguardo all’ultimo triennio 2007-2010. In un periodo in cui anche altri settori strategici – come il commercio e i mezzi di trasporto – hanno accusato flessioni produttive e occupazionali, sono state proprio le aziende culturali a mostrare una maggior capacità  di tenuta rispetto al resto dell’intera economia, con una crescita del 3% (in termini di valore aggiunto nominale) contro lo 0,4% complessivo. Addirittura in controtendenza risulta poi il trend occupazionale, in virtù di un aumento di quasi un punto percentuale (+0,9%) a cui si contrappone la flessione subita a livello generale (-2,1%): in valori assoluti, una crescita di 13mila addetti nel segmento culturale rispetto a una contrazione di oltre mezzo milione nell’intero sistema economico.
È stato principalmente il segmento del Design e Produzione di stile a trainare la crescita delle industrie creative nel periodo considerato dalla ricerca di Unioncamere e Symbola: +8,2% di valore aggiunto e +3,1% di occupazione. Anche il comparto della Comunicazione e branding ha registrato uno sviluppo economico piuttosto apprezzabile (+3,1%), accompagnato tuttavia da una stagnazione dell’occupazione. Neppure le attività  legate alla progettazione architettonica sembrano aver sofferto più di tanto la crisi, realizzando un aumento del valore aggiunto prodotto di oltre il 4 per cento sostenuto anche dall’espansione della propria base occupazionale di circa un punto e mezzo percentuale.
Gli ultimi tre anni sono stati negativi, invece, per l’artigianato legato alla cultura che ha dovuto subire una contrazione di oltre tre punti percentuali (-3,6%) in termini produttivi e di un punto in termini occupazionali. Questo dipende in molti casi dalla dimensione ridotta delle aziende e dalla difficoltà  di tenere il ritmo del cambiamento dettato della globalizzazione: secondo l’indagine delle Camere di commercio, servirebbe perciò una migliore politica di rete tra le piccole imprese e un adeguato investimento in formazione e aggiornamento professionale, per migliorare la capacità  di accesso ai nuovi mercati.
Sul fronte delle industrie culturali, è stato il comparto Film, video e radio-tv a correre più velocemente, mostrando nel triennio 2007-2010 una crescita economica a due cifre (+12,0%), seguita dalla vivacità  esibita dal settore musicale (+8,9%); mentre il passo dell’editoria è risultato decisamente più lento (+1,9%), ma pur sempre positivo rispetto alla leggera flessione incontrata dal settore dei videogiochi e software (-0,9%) inteso come attività  produttiva ed editoriale (commercio escluso). Una dinamica che, verosimilmente, sconta in parte l’effetto di import penetration di grandi produttori stranieri di videogiochi, a fronte di una produzione nazionale piuttosto frammentata e poco sostenuta sul piano industriale dalle politiche pubbliche.
Conclude Ermete Realacci, presidente di Symbola e responsabile della “green economy” per il Pd: «I gravi problemi che l’Italia ha di fronte impongono la necessità  – per dirla con il presidente Napolitano – di trovare il senso e la forza di una missione comune. È proprio dal patrimonio culturale del nostro Paese, dunque, che dobbiamo ripartire per ricominciare a crescere. Un futuro più “bello” dipende anche da noi».

 


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